Ecco perchè piazza Tahrir resta ancora un luogo di speranze tradite

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Ecco perchè piazza Tahrir resta ancora un luogo di speranze tradite

28 Gennaio 2012

E’ trascorso un anno dalle prime proteste a piazza Tahrir, da quando cioè il vento della “primavera” araba ha lambito l’Egitto, spazzando via il trentennale regime di Mubarak in poco più di due settimane (dal 25 gennaio all’11 febbraio 2011).

Da allora nulla è cambiato e, se lo è, è cambiato in peggio. Molti egiziani sono delusi da come sono andate le cose. Il mondo ha appreso che vi sono state altre manifestazioni di protesta, questa volta contro i militari che ora detengono il potere.

Chi non ricorda la “ragazza con il reggiseno azzurro”, recentemente picchiata e semi-denudata dalla polizia durante una dimostrazione popolare ( tra l’altro in un contesto in cui il corpo della donna, la nudità e la sessualità sono tabù)? La giovane è diventata il simbolo della “primavera” araba egiziana “tradita” e “incompiuta”.

Oltretutto il governo non intende rivelare con precisione il numero dei morti nei tumulti. “C’è spesso una battaglia terribile in merito allo scrivere cosa realmente è successo”, dichiara Ghada Shahbender, che alle recenti elezioni parlamentari ha votato per i laici (sconfitti) e non vede affatto nel Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) una via per la democrazia. Capita che qualcuno “arrivi  con una ferita d’arma da fuoco in fronte e un coroner tenti di farlo passare un incidente d’auto”, dice.

Certo, il più popoloso Paese arabo del mondo ha avuto di recente le sue prime elezioni libere in 5000 anni di storia. Entro giugno è previsto che una commissione del nuovo parlamento scriva una Costituzione, poi l’ elezione di un presidente in settembre. Tuttavia la popolazione vorrebbe anche liberarsi proprio del regime militare.

Non che non ci fosse di fatto, quando era ancora al potere Mubarak. In realtà tutti i presidenti che si sono succeduti in Egitto dopo la rivoluzione, che ha scacciato la monarchia nel 1952, sono stati dei militari. Semplicemente, osservano gli analisti, lo SCAF non voleva che l’ex rais nominasse come suo successore suo figlio Gamal, perciò l’ha parzialmente abbandonato.

I militari hanno a lungo influenzato ogni cosa nel Paese: dalla legislazione, ai media, alla politica estera. Inoltre, a quanto pare, anche il 30% dell’economia nazionale egiziana.

Tuttavia Amr Hamzawy, vincitore di un seggio parlamentare come indipendente, spiega che prima di cedere il potere, i generali vogliono vedere soddisfatte 4 condizioni: la loro impunità per le violazioni dei diritti umani e le uccisioni che hanno perpetrato dalla cacciata di Mubarak; vogliono mantenere un peso politico, incluso un voto effettivo nella legislazione; intendono conservare i loro interessi commerciali. Inoltre essi vogliono controllare il budget militare, sotto Mubarak tenuto segreto anche al parlamento.

Ad accrescere i timori è il fatto che alle recenti elezioni parlamentari abbiano vinto i Fratelli musulmani (con il partito “Giustizia e Libertà”) seguiti dai salafiti (con il partito An-Nour”, “la Luce”), mentre il movimento liberale del miliardario cristiano Sawiris ha avuto solo il 17% delle preferenze.

Prima gli integralisti islamici erano ufficialmente banditi, ma di fatto tollerati dal regime. Ora hanno guadagnato il 73% dei seggi alla Camera bassa, che è presieduta proprio da un “fratello musulmano”, Mohamed el-Katatni. In settimana si è avuta la prima riunione del nuovo parlamento post-Mubarak. Un parlamento pieno di barbuti.

I risultati del successo degli integralisti islamici in Egitto hanno già cominciato a vedersi. Il 19 gennaio scorso la minoranza cristiana, sempre più perseguitata nel Paese ( o di certo non meno di quando c’era Mubarak), è stata nuovamente attaccata dai salafiti per impedirle di votare. I fatti sono accaduti nel villaggio di Rahmaniya-Kebly, nell’alto Egitto. Al grido di “Allahu Akbar” (“Allah è il più grande”) sono state assalite case, incendiate capanne, negozi e attività commerciali. Sono stati anche segnalati due feriti: un ragazzo di 16 anni colpito da un proiettile e un uomo di 40, ferito al volto.

Al solito le forze di sicurezza non sono intervenute con prontezza per difendere i cristiani. Lo hanno riferito dei testimoni all’Assyrian International News Agency (Aina). I vigili del fuoco sono arrivati con ben 90 minuti di ritardo, quando ormai la maggior parte degli edifici era in balia delle fiamme.

La capanna di un cristiano è stata anche incendiata per far posto a una moschea, peraltro in una zona dove vi sono già 300 luoghi di culto islamici mentre esiste una chiesa soltanto, benché i cristiani costituiscano il 50% della popolazione locale. Proprio la notevole percentuale di cristiani nell’area spiega la paura dei salafiti che questi si rechino alle urne: essi infatti potrebbero portare alla vittoria i musulmani autenticamente moderati che sostengono.

Sempre il 19 gennaio, salafiti e Fratelli musulmani si sono uniti per fare irruzione in una chiesa appena costruita in un’altra provincia egiziana, adducendo il pretesto che il luogo di preghiera sarebbe stato illegale. I suoi 1.300 metri quadri “sono perfetti per costruire una moschea e un ospedale”, ha aggiunto un estremista islamico. Il vescovo locale avrebbe dovuto inaugurare la nuova chiesa con una messa, ma ha rinunciato, causando lo scontento e la rabbia della congregazione.

I salafiti del partito “An-Nour” sono gli stessi che, strumentalizzando il dolore dei parenti delle vittime delle rivolte, hanno chiesto a questi ultimi di esigere in base alla sharia, la legge islamica, il pagamento del “prezzo del sangue” alla famiglia del colpevole: l’ex presidente Hosni Mubarak, che rischia ora la condanna a morte con l’accusa di aver ordinato, nel gennaio dell’anno scorso, di sparare sulla folla, causando 850. Peccato che sia passato quasi un anno dall’effettiva cacciata del rais e le violenze non siano cessate.

Anche sul fronte “donne” la situazione non è migliore. Sono avvenute nuove aggressioni sessuali ai danni delle manifestanti in piazza Tahrir. Una ragazza arabo-americana della quale si sa solo il nome, Heather, ha raccontato che alcuni uomini hanno tolto di dosso i pantaloni a lei e ad alcune amiche, toccandole nelle parti intime. Fortunatamente una donna è riuscita a salvarle.

I giorni scorsi un’altra donna straniera ha subito violenza da un gruppo di uomini. “Questo ferisce l’immagine della rivoluzione”, ha commentato Heather.

D’altra parte è noto che anche nelle prime rivolte numerose donne abbiano subito diversi tipi di molestie sessuali. Donne straniere ed egiziane. Ricordiamo lo stupro della giornalista sudafricana Lara Logan, “perché gli assalitori pensavano che fosse ebrea”, i racconti dell’aggressione subita dalla giornalista Mona El-Tahawy, gli arbitrari test di verginità a cui sono state sottoposte le dimostranti di piazza Taharir, allo scopo di condannarle per prostituzione. I poliziotti hanno continuato ad abusare di loro dopo averle portate in caserma, anche fotografandole mentre si spogliavano per i test, minacciando di far finire gli scatti sui giornali, se avessero parlato.

E per le donne si profila un destino anche più cupo, visto che gli integralisti islamici hanno esplicitamente dichiarato di volere imporre la sharia in Egitto. Il “povero” Egitto, laico fino agli Anni Cinquanta-Sessanta, in cui forse una “primavera araba” non c’è mai stata.