Ecco perché vietare il burqa in Italia non offende la religione musulmana
09 Ottobre 2009
di Souad Sbai
In questi giorni molte parole sono state spese nel dibattito esploso sulla possibilità di introdurre nel nostro Paese il divieto di indossare il burqa e il niqab, il velo che copre interamente al figura della donna, lasciandone scoperti solo gli occhi.
L’intellettuale marocchino Tahar Ben Jelloun, di fama internazionale, nel suo articolo “Perché le donne velate sono un insulto all’Islam” ha dichiarato che “nell’Islam, si parla di zahir e di batin. Il visibile e il nascosto (…). È sintomatico assistere oggi ad appassionati dibattiti su un particolare tipo di visibile/ invisibile. Penso all’invocazione del velo integrale per la donna, che sia con un burqa o con un niqab. In entrambi i casi la donna è coperta di nero dalla testa ai piedi, come un fantasma. (…). Questo comportamento, che è etnico e non religioso (non è infatti assolutamente musulmano) è la prova della paura della donna. La si rende invisibile per impedirle di esistere socialmente e sessualmente – ed aggiungo economicamente -. È anche prova di grande ignoranza (…). Allah ha dato all’uomo non solo il suo libero arbitrio ma lo ha reso responsabile delle sue azioni. Così, il marito che rende sua moglie un fantasma nel nome dell’Islam è un ignorante che offende la parola di Dio. Pensa, coprendo sua moglie, di essere devoto all’Islam. Errore, è devoto al visibile, all’apparenza, che fa della donna una schiava del suo desiderio; uccide in lei ogni libertà, cosa che Dio non gli perdonerà”.
Nella stessa direzione è andato il pronunciamento del grande imam dell’Università di al Azhar del Cairo, chiarendo che indossare il niqab ”e’ un’abitudine che non ha nulla a che fare con la religione”. Mi duole solo che sia sempre necessario attendere chiarimenti dall’estero su un tema che invece noi conosciamo molto bene, di cui parliamo da anni, senza essere presi nella dovuta considerazione da coloro che propugnano un multiculturalismo intriso di nichilismo.
Quanto sopra detto dimostra che l’uso del burqa e del niqab è una barbara costumanza introdotta da frange estremiste che vogliono fare politica sulla testa delle donne, piegando il credo religioso a un’ideologia che non ha nulla a che vedere con la professione del culto.
La proposta presentata dalla Lega Nord ricalca nel merito una proposta da me presentata e già in discussione presso la Commissione Affari Costituzionali della camera dei Deputati da due settimane. Si tratta tuttavia di una proposta che cita la professione di fede, perché tende a vietare, oltre all’uso di caschi o indumenti che rendano difficile il riconoscimento, anche “gli indumenti indossati in ragione della propria affiliazione religiosa”.
La mia proposta di legge, invece, aggiunge al primo comma dell’articolo 5 della legge 152/1975: «È altresì vietato, al fine di cui al primo periodo, l’utilizzo degli indumenti femminili in uso presso le donne di religione islamica denominati burqa e niqab». Ora, è ben vero che questi indumenti sono in uso presso alcune donne immigrate di religione musulmana e italiane convertite all’islam ma è falso ritenere che indossare quegli indumenti sia necessario per permettere loro di professare correttamente il loro culto. Proprio per questo le obiezioni di incostituzionalità della mia proposta di legge, sollevate in base all’articolo 19 della Costituzione non hanno ragione di esistere: il burqa e il niqab non fanno parte della religione musulmana.
Io non voglio impedire a nessuno di professare liberamente il proprio culto, ma voglio dare voce a chi voce purtroppo non ne ha. Voglio dar voce a tutte quelle donne segregate e annullate che sono costrette dietro l’ingrata prigione del burqa, un’usanza che sta prendendo piede in Italia e a cui non può essere permesso di diventare normalità.
Spero pertanto che la mia proposta di legge venga firmata dai colleghi di tutti gli schieramenti presenti in Parlamento, perché sono certa che prevarrà il buon senso che dà luogo a una strenua difesa dei diritti delle donne e più in generale dell’essere umano.
Io mi batto, come da dieci anni a questa parte, per garantire i diritti e la libertà delle donne: non per farle finire in prigione per un’usanza troppo spesso imposta con la violenza.
Souad Sbai è parlamentare del Pdl