Ecco un’organizzazione internazionale che funziona: la NATO di Rasmussen

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Ecco un’organizzazione internazionale che funziona: la NATO di Rasmussen

05 Dicembre 2009

Ricordate Berlusconi al Vertice NATO di Strasburgo-Kehl la scorsa primavera, quando fece attendere qualche minuto la padrona di casa, Angela Merkel, perché impegnato in una telefonata? “Che screanzato!”, disse qualche suo detrattore. Quando si seppe che con quella telefonata il premier italiano era riuscito a risolvere una ingarbugliata crisi internazionale, gli stessi detrattori non esclamarono “Che statista!”, ma si rinchiusero in un ingrugnito, buio silenzio. Il suo interlocutore telefonico era il premier turco Recep Tayip Erdogan, e l’oggetto del contendere era il danese Anders Fogh Rasmussen, candidato all’incarico di 12° Segretario Generale della NATO, voluto da tutti ma visto con sospetto da Ankara. Erdogan si convinse e il danese fu eletto all’unanimità.

L’esponente turco si opponeva alla candidatura dell’allora primo ministro danese perché gli rimproverava di non aver condannato la pubblicazione di alcune vignette satiriche sul Profeta Maometto pubblicate sul giornale danese “Yillands Posten” nel 2006 e di non aver fatto chiudere un’emittente kurda che dalla Danimarca criticava l’operato del governo di Ankara. Rasmussen si era rifiutato di aderire alle richieste della Turchia, che all’epoca era presidente di turno della Conferenza Internazionale Islamica, dichiarando che entrambi gli episodi, vignette e radio kurda, rientravano nel diritto di libera espressione che la Danimarca aveva sempre sostenuto e tutelato.

Una volta insediatosi a Bruxelles, Rasmussen non ha tardato a farsi conoscere come un deciso riformatore: “Sono qui per ammodernare, trasformare e riformare l’Alleanza per renderla idonea a fronteggiare le sfide del ventunesimo secolo”. Ha subito messo mano al progetto di sfoltire il quartier generale e i suoi ormai trecento comitati e sottocomitati: troppi per un’organizzazione moderna, tanto più che in ognuno di essi le decisioni devono essere adottate con il consenso di tutti. Molto prima dell’insediamento di Rasmussen avevamo già sostenuto su queste colonne (si veda “La NATO verso un nuovo concetto strategico”, 28 novembre 2008) l’opportunità di mantenere la regola dell’unanimità solo al più alto livello, quello del Consiglio del Nord Atlantico, introducendo le decisioni a maggioranza ai livelli più bassi.

Un altro settore a cui il nuovo Segretario Generale ha dato un decisivo impulso è quello della comunicazione con l’esterno. Sul sito internet dell’Organizzazione, “l’angolo del Segretario Generale” informa il pubblico su tutte le attività di Rasmussen, compresi i testi dei discorsi pronunciati nelle più svariate occasioni. Il rapporto con l’esterno non finisce qui ma si amplia anche ai più moderni social networks: Anders Fogh ha anche un profilo su Facebook, dove conta già più di sedicimila fans, che quotidianamente si rivolgono a lui per domande e commenti, incoraggiamenti e critiche.

In quanto alle procedure di lavoro interne, anche qui il piglio manageriale e semplificatore del neo Segretario Generale è visibile quotidianamente: il dialogo con i collaboratori è costante, rapido ed essenziale, privilegiando la posta elettronica ed eliminando le anticamere. Ci sono meno riunioni, le agende vengono semplificate e ridotte agli argomenti essenziali, le discussioni vanno immediatamente al nocciolo del problema e il Segretario Generale spunta personalmente, carta e penna alla mano, ciò che deve essere fatto, da chi ed entro quando. E pretende risultati rapidi e concreti.

Rasmussen si trova alle prese anche con la stesura del nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza. Finora, per produrre gli analoghi documenti emanati nel 1991 e nel 1999, era stata adottata la procedura della stesura di bozze da parte di ciascun Paese, con successivo passaggio di veline da una rappresentanza nazionale all’altra, eterne consultazioni delle rappresentanze con le proprie capitali e delle capitali fra di loro, stesura in ciascuna capitale di documenti da parte dei ministeri della Difesa e di quelli degli Esteri, ovviamente in contrasto fra di loro, riunioni e discussioni infinite in cui si decideva di non decidere, perdite di tempo e consumi abnormi di carta e di inchiostro. Anders Fogh ha dato un deciso colpo di ramazza anche a queste procedure vecchie e inconcludenti, nominando un gruppo di dodici “saggi” capeggiati dalla volitiva Madeleine Albright, ex Segretario di Stato USA, che risponderà direttamente al Segretario Generale, lavorerà in autonomia senza subire continue pressioni dall’esterno (soprattutto dalle capitali) e produrrà un documento che solo quando risulterà consolidato (verosimilmente nella prossima primavera) verrà sottoposto all’approvazione dei Paesi membri. A quel punto, chi lo riterrà opportuno potrà anche proporre alcuni cambiamenti, ma le perdite di tempo risulteranno ridotte al minimo e il concetto sarà pronto per essere adottato nel prossimo vertice dell’Alleanza Atlantica da tenere in Portogallo a fine 2010 o inizio 2011.

Il nuovo Segretario generale è anche alle prese con la cura dimagrante della struttura dei comandi militari, che attualmente annovera qualcosa come 13.000 persone, molte di meno rispetto ai tempi della guerra fredda ma ancora troppe. L’impresa non è semplice, considerato che il numero dei Paesi membri è in aumento e che la Francia è rientrata a far parte della struttura militare integrata dell’Alleanza e che pertanto ha diritto alla sua visibilità, ma i compiti difficili non dispiacciono ad Anders Fogh.

Rasmussen ha anche ridimensionato il ruolo degli ambasciatori, veri depositari degli antichi privilegi e delle lungaggini burocratiche che in passato avevano indotto alla maliziosa interpretazione dell’acronimo NATO come “No Action, Talk Only” (parlare sempre, agire mai). Come alla riunione dei ministri della Difesa a Bratislava due mesi fa, quando, dopo avere preso visione del progetto della distribuzione dei posti a tavola per la tradizionale cena, Rasmussen depennò tutti gli ambasciatori, frantumando un’inveterata consuetudine culinaria. “Che c’entrano gli ambasciatori –disse – questa è una riunione ministeriale, quindi alla cena parteciperemo io e i ministri, punto e basta”. Una trentina di personaggi storsero il muso, poi si adeguarono.

Non è che i predecessori di Rasmussen non abbiano mai tentato di semplificare e sburocratizzare l’Organizzazione, anzi. Ma talvolta sono andati a sbattere contro i muri di gomma dell’immutabilità e del “si è sempre fatto così”. Lord Robertson, ad esempio, diceva “Ho trovato estremamente difficile introdurre riforme, anche le più semplici”. Anche De Hoop Scheffer ha tentato di superare l’assurdo principio del “costs lie where they fall”, in base al quale le nazioni che sostengono le operazioni più rischiose affrontano un onere doppio rispetto a chi si tira indietro: non solo rischiano le vite dei propri soldati ma devono anche pagare i costi finanziari delle missioni. Finora, non c’è stato nulla da fare. Speriamo ci riesca questo Segretario Generale. Forza, Anders Fogh!