
EcoMamma, l’angelo della pattumiera

09 Marzo 2008
di Paola Vitali
In America è ormai un nuovo gruppo culturale d’appartenenza, e
a consacrarne la diffusione è arrivato un bel reportage del New York Times, che accompagna il ritratto delle EcoMamme – e
per estensione EcoFamiglie – con una bella fotografia in interni, di quelle che
finora tutti avremmo associato alle vendite casalinghe di cosmetici o
detergenti per pavimenti. Invece le signore sono riunite in salotto con la
fronte corrucciata per condividere informazioni e strategie utili alla
conservazione del pianeta. Da praticare nelle proprie dimore – e ai danni dei
loro familiari. L’articolo titola infatti “Per le Ecomamme, il salvataggio del
pianeta inizia in casa”.
Ecomamme raccolte anzitutto in un network che si è denominato
Ecomom Alliance, a metà fra una community sulle arti femminili e un gruppo di
self-help. I dieci comandamenti della Ecomamma non sono troppo diversi dai
soliti punti messi in fila in qualsiasi articolo occidentale sul “vivere
ecologico”, e vanno dai triti consigli sui tessuti organici, i materiali non
tossici e le lampadine a basso consumo, al lavarsi con l’acqua fredda e
spegnere gli elettrodomestici in stand-by. Infine ai decisivi punti 9 e 10
raccomandano rispettivamente di “ridurre il senso di colpa, come quello per il
SUV che ancora tenete, acquistando buoni per la riduzione di anidride
carbonica”, e di “giocare di più con i bambini (sic!), perché bisogna fare più
cose che alimentino mente, corpo e spirito”.
Una nuova generazione di eco-ansiose, come molte di loro si
definiscono, sempre più assalita dal senso di colpa per gli sprechi
incontrollati che tanto male fanno a Gaia, trova la sua purificazione in un
corredo di diktat che trasformano le famiglie in piccoli inferni di abitudini
meticolose, nei fatti un vero e proprio lavoro. E che consacrano la Ecomamma
come nuova versione della madre veramente alla moda, decisamente avanti
rispetto all’Alfa Mamma e a tutte le altre varianti contemporanee di genitrice
identificate dai media. L’Ecomamma, infatti, è convinta non solo di fare un
favore all’umanità costringendo i familiari a rivestirsi di maglioni pesanti
per limitare il riscaldamento e facendogli passare ore a selezionare
correttamente la spazzatura, ma anche di aver abbracciato un insieme di
“valori” che le permettono di convivere più a suo agio con un ricco e
fastidioso mondo tecnologizzato, opprimente e innaturale. Con estremismo tutto femminile, unito alla
capacità muliebre di fare del focolare domestico un’azienda dove il
perfezionismo non è mai troppo, le Ecomamme sono costantemente e freneticamente
alla ricerca di nuovi interventi da praticare in prima persona per superare sé
stesse nel rispetto dell’ambiente. Da eco-ansiose a eco-maniache, quindi, dal
senso di colpa per il pianeta a quello per la propria inadeguatezza. In una girandola di cose “da non fare”, più
che altro, attivandosi per ridurre, limitare, risparmiare. Salvo comunque
acquistare tanti prodotti alternativi, non tossici, e ovviamente costosi.
Il dubbio che sorge spontaneo è perché mai, se tanto attivismo
a un prezzo in fondo contenuto per l’individuo può davvero salvare il pianeta,
le ecomamme abbiano come orizzonte i soli metri quadri del loro appartamento.
Ma la spiegazione osservandole più da vicino e frequentando un po’ i loro
nervosi blog è che non trovino altre soluzioni per la loro coscienza, prima
ancora che per il pianeta – perchè intimamente sanno che i loro piccoli gesti
non potranno davvero salvarlo, ma
garantire un po’ di pace al loro tormento sì.
Più inquietanti quando rivelano la natura più estrema dell’ambientalista,
convinto che il problema del pianeta siano le persone, e la vera soluzione
quella di contenerne il numero. Pare che
per il momento siano un numero ancora esiguo, ma avanzano i sostenitori del
controllo delle nascite a scopo ambientale. Le due signore inglesi, ecologiste
per professione, che il Daily Mail
intervistava alcuni mesi fa, avevano abortito e poi anche chiesto di essere
sterilizzate per non dover essere fonte di ulteriore inquinamento per la terra
a causa di loro eventuali gravidanze. Sostenendo peraltro di non essere in
scarsa compagnia. E che dire della proposta che arrivava dall’Australia alla
fine dello scorso anno per una tassa (carbon
tax) sui neonati, a compensazione dell’inquinamento che avrebbero causato
dalla comparsa sulla terra per un’altra ottantina di anni?
Novità così vicine al grottesco da far sorridere. Ma umorismo
a parte, il ragionevole sospetto per tutte le proposte che si concentrino sulla
riduzione della libertà di agire e sulle conseguenze di ciò che produciamo per
il solo fatto di esistere, è che siano generate da fastidio per l’umanità.
Un’umanità misurata più in base ai suoi scarti che non alla generazione di
speranze di miglioramento attraverso i suoi figli.
Dovremmo invece preoccuparci, se il fenomeno dovesse diffondersi
dai salotti dell’Alliance delle mamme verdi fino ai parchi giochi delle nostre
città: soprattutto per la salute mentale delle donne costrette a occupare il
proprio tempo concentrate su una serie pressocché inesauribile di
micro-attività quotidiane eco-compatibili. Hanno già tanti problemi pratici da
affrontare, poveracce, lasciamole in pace se dimenticano di buttare la carta
nel bidone giusto.