Editoria, ok della Camera: la riforma è legge
04 Ottobre 2016
La Camera ha approvato in via definita il Ddl di riforma del settore dell’editoria con 275 sì e 80 no.
Con il via libera della Camera, diventa quindi legge la riforma dell’Editoria che introduce, tra le altre cose, il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione destinato al sostegno dell’editoria e dell’emittenza radiofonica e televisiva locale.
Il Fondo viene alimentato con risorse statali già destinate al settore, un contributo di solidarietà a carico delle società concessionarie di raccolta pubblicitaria e una parte, fino a un massimo di cento milioni annui per il periodo 2016-2018, delle maggiori entrate derivanti dal canone Rai.
Una determinata percentuale del Fondo potrà essere destinata al finanziamento di progetti comuni che incentivino l’innovazione dell’offerta informativa nel campo dell’informazione digitale, attuando obiettivi di convergenza multimediale.
Il limite massimo delle retribuzioni è fissato a 240mila euro all’anno. Il tetto si applica agli amministratori, ai dipendenti e ai consulenti “del soggetto affidatario della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale”. Il tetto non può essere superato anche qualora l’azienda dovesse emettere dei bond. La norma è stata introdotta al Senato, con un emendamento presentato dal relatore, il Pd Roberto Cociancich, e approvato all’unanimità a Palazzo Madama, anche alla luce della pubblicazione degli ultimi stipendi dei dirigenti di Viale Mazzini, alcuni dei quali andavano ben oltre la quota di 240mila annui. La riforma prevede anche una riduzione delle risorse assegnate nel Fondo per l’Editoria alle imprese che danno stipendi superiori a 240mila euro.
Diventano 60 i componenti del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e viene garantita la rappresentanza alle minoranze linguistiche. Il ddl, inoltre, delega il governo ad adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge criteri più stringenti per il ricorso ai prepensionamenti dei giornalisti, a rivedere l’attuale procedura sugli stati di crisi.
Devono pubblicare prevalentemente online, essere regolarmente registrati nella cancelleria di un tribunale, produrre soprattutto informazione, aggiornata quotidianamente, avere un direttore responsabile iscritto all’Ordine dei giornalisti.
La concessione del servizio pubblico (Rai) durerà dieci anni e ci dovrà sempre essere la consultazione pubblica sugli obblighi di servizio per il rinnovo. Sarà affidata con decreto del presidente del Consiglio su proposta del Mise di concerto con l’Economia.
Il testo del ddl delega al governo la ridefinizione dell’intera disciplina. L’esecutivo, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, dovrà ridefinire innanzitutto la platea dei beneficiari: tra questi, oltre alle tv locali, le cooperative giornalistiche e gli enti senza fini di lucro, quotidiani e periodici delle minoranze linguistiche, imprese ed enti che editano periodici per non vedenti o ipovedenti, associazioni di consumatori, imprese editrici di quotidiani e periodici diffusi all’estero. Saranno esclusi invece i giornali di partito.
L’ammontare del contributo pubblico dipenderà dal numero di copie annue vendute e dagli utenti unici raggiunti, oltre che dal numero di giornalisti assunti. Sono previsti infine dei criteri ‘premiali’ per quelle imprese che assumono a tempo indeterminato gli under 35 e vengono fissati limiti massimi al contributo erogabile.