Egitto, alleanze pericolose minacciano la transizione democratica
05 Marzo 2011
L’incandescente situazione libica ha attirato l’attenzione lontano da Piazza Tahrir (Libertà) dove solo poche settimane fa abbiamo assistito al tramonto del regime di Mubarak e all’inizio di una nuova alba che sta sorgendo sul Nilo. Torniamo al Cairo, allora, tenendo in considerazione la valenza strategica dell’Egitto per la stabilità economica (Canale di Suez) e per la sicurezza (Sinai e Gaza) dell’intera regione, dell’Occidente e del mondo intero.
Dopo la caduta dell’Ultimo Faraone, le proteste e le mobilitazioni di piazza sono tutt’altro che terminate e come conseguenza si sono verificati nuovi e importanti cambiamenti istituzionali e molti altri se ne prevedono. Per cominciare, giovedì scorso il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, si è dimesso. Shafiq rappresentava ancora l’ancièn regime e la sua nomina era stata uno degli ultimi atti di Mubarak. Così, il Consiglio supremo militare alla guida del Paese ha affidato le redini del governo all’ex ministro dei Trasporti, Essam Sharaf, un’autorevole figura dell’opposizione che già cinque anni fa lasciò l’esecutivo ed è scesa in piazza con i manifestanti durante le proteste dello scorso febbraio.
Leggendo il quotidiano egiziano al Masry al-Youm, scopriamo che presso Beni Suef un gruppo di una cinquantina di donne ha manifestato per chiedere una riduzione dei costi previsti per i loro appartamenti realizzati nel quadro del Mubarak Housing Project, mentre gli studenti dell’Università di Alessandria hanno manifestato per chiedere le dimissioni del Rettore del campus. I coltivatori dell’Agricultural Cooperation Institute hanno accusato il governo del deficit mensile di 1,5 milioni di lire egiziane a causa di una cattiva gestione delle risorse. I dipendenti della Banca Misr, il centro del sistema finanziario egiziano, hanno organizzato un sit-in di fronte alla sede principale dell’istituto per chiedere il rinnovo dell’organo direttivo e del sindacato interno.
Anche i pensionati si sono fatti sentire: ex lavoratori dell’El Nasr Automotive Manufacturing Company hanno chiesto l’aumento delle pensioni unendo così le loro grida a quelle dei residenti di al-Nahda e dei distretti di al-Salam che prima di una dignitosa pensione chiedono una casa al posto delle tende dove sono costretti a vivere. Vicino Luxor, invece, è stata bloccata l’autostrada che conduce al grande centro da semplici automobilisti che protestavano contro l’aumento del prezzo del carburante facendo da eco agli operatori del settore turistico che chiedevano finanziamenti e le dimissioni del ministro del Turismo, Mounir Fakhry Abdel Nour.
Dopo libertà e giustizia, quindi, quello che il popolo egiziano assolutamente vuole è la pax economica. Questo è il problema che preoccupa sopra ogni cosa il Consiglio supremo militare al cui vertice siede il feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, settantasettenne (riferimento anagrafico di estrema importanza quando si prende a confronto il regime militare del “giovane” Nasser). Tantawi, comunque, ha manifestato la volontà di lasciare il passo ad una leadership civile, comunicando che saranno indette le elezioni entro i prossimi sei mesi. Intanto, ha già riconfermato gli impegni, i trattati e gli accordi internazionali, il che significa che per il momento non è previsto nessun cambiamento nelle relazioni con Israele e gli Stati Uniti.
Oltreoceano, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha espresso seria preoccupazione per l’infiltrazione iraniana in Egitto e nel resto del Grande Medio Oriente: “Benché l’Iran non abbia relazioni con le opposizioni, e in certi casi abbia avuto pessimi rapporti con i sunniti, con i Fratelli Musulmani e altri gruppi, sta facendo di tutto per influenzare il risultato di queste proteste nel mondo arabo”. Il rischio della nascita di un futuro governo egiziano fondato sulle sure coraniche e ostile all’Occidente è un pericolo che Tantawi e gli altri generali non intendono correre al contrario di Amr Mūsā, l’attuale segretario generale della Lega Araba, indubitabilmente nasserista e antisraeliano, che per rafforzarsi come candidato alle prossime elezioni cerca l’appoggio anche dei Fratelli Musulmani.
Il Consiglio dei generali sta cercando sicuramente di accontentare tutte le fazioni e di ingraziarsi il più possibile la piazza allo scopo di mantenere lo status quo fino alle prossime elezioni, provando al contempo ad accreditarsi presso gli Stati Uniti. Ma il segnale di un cambiamento di rotta da parte del Cairo verso porti lontani dall’Atlantico, qualora ci fosse, lo potremo vedere dal valico di Rafah. Difatti, il primo obiettivo del governo di Hamas a Gaza è il collegamento con l’Egitto e non il collegamento con Ramallah, roccaforte dell’ANP. L’apertura del valico di Rafah è stata l’oggetto anche di un discorso di uno dei fondatori della Fratellanza Musulmana, lo sceicco Yusuf Qaradhawi, che in Piazza Tahrir durante le proteste di febbraio ha invitato l’Egitto ad aprire Rafah “al fine di liberare Al Quds (Gerusalemme), un ulteriore passo verso il Califfato mondiale”.