Egitto, Isis rivendica attentato cattedrale copta. E ad Aleppo non chiamatelo “Bianco Natale”
15 Dicembre 2016
Mentre le città di tutto il mondo brillano di luci in vista del Natale, in Medio Oriente non sono certo queste le luci a brillare. Esplosioni, colpi di arma da fuoco, bombe, sono le uniche “luci” in grado di colorare il grigio delle devastazioni, della polvere e delle macerie. Per i cristiani del Medio Oriente è l’ennesimo Natale che si tinge di rosso sangue. Il Cairo ed Aleppo sono uniti da un destino comune.
Al Cairo, dopo l’attentato di domenica 11 dicembre che ha provocato 23 morti e 49 feriti (tra cui molte donne e bambini) nella cappella dei Santi Pietro e Paolo della cattedrale copta ortodossa di San Marco, le forze di polizia egiziane hanno identificato l’attentatore grazie alle telecamere di videosorveglianza della Chiesa: un giovane di 22 anni Mahmoud Shafik Mohamed Moustafa che alle 10 di mattina dell’11 dicembre è entrato nella cattedrale per farsi esplodere. Nelle ore successive all’attentato, la polizia ha fermato tre uomini e una donna, sospettati di essere complici del giovane kamikaze. Le recenti notizie parlano di un prolungamento del fermo al fine di consentire alle forze dell’ordine di effettuare ulteriori verifiche.
”Grazie a Dio il fratello kamikaze Abu Abdullah El Masri (forse nome di battaglia Mahmoud Shafik Mohamed Moustafa) si è diretto verso un tempio dei cristiani nel complesso della cattedrale nel quartiere di Abbassyah nel centro del Cairo. Si è posto al centro di un raduno di crociati e ha fatto esplodere la sua cintura esplosiva causando 80 tra morti e feriti”. Comincia così il messaggio dell’Isis dal titolo ”80 crociati tra morti e feriti in una operazione martirio nel centro del Cairo” diffuso via Twitter il 13 dicembre scorso per rivendicare l’attentato. ”Tutti gli apostati in Egitto e dovunque nel mondo – continua il testo – devono sapere che la nostra guerra contro l’apostasia continuerà e che lo stato del califfato sarà insediato e continuerà a bruciare i loro corpi e a far colare il loro sangue” si legge nel messaggio diffuso dai miliziani del califfato che certo non lasciano presagire giorni di tregua, proprio in vista delle celebrazioni natalizie.
Intanto la comunità copta ortodossa, che costituisce circa il 10 per cento degli oltre 90 milioni di abitanti in Egitto, è lacerata dal dolore. Non sono mancate proteste sollevate da alcuni membri della comunità nei confronti dell’interno egiziano Abdel Ghaffar, accusato di non aver applicato misure di sicurezza adeguate a proteggere chiese e popolazione copta. Chi teme attentati in occasione del Natale è anche Padre Ibrahim Sabbagh, il parroco della comunità latina di Aleppo. “Abbiamo tanta paura per questo abbiamo fissato la messa di Natale nel pomeriggio perché vogliamo mandare la gente il più presto possibile a casa” ha affermato Padre Ibrahim in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000. “Abbiamo paura – ha aggiunto il parroco – che qualche gruppo di miliziani si sia preparato per lanciare diversi missili di grande potenza durante la notte di Natale. Questo potrebbe provocare una grande strage”.
Mentre è di pochissime ore fa la notizia dell’avvio delle operazioni di evacuazione di circa 5.000 civili da Aleppo est: la notizia è stata data dall’agenzia russa TASS, che ha citato il Ministro della Difesa di Mosca, e confermata dalla Croce Rossa Internazionale. L’operazione è stata resa possibile grazie all’intesa per un cessate il fuoco umanitario raggiunta tra ribelli e esercito russo. Ma dove verranno portate queste persone? La maggior parte dovrà abbandonare la Siria, dopo aver resistito a 7 anni di sanguinosa guerra civile: a Damasco, oggi unica città davvero sicura in Siria (e nemmeno tutta la città), non c’è più spazio ed è probabile che i profughi di Aleppo vengano dislocati in più campi profighi, tra Libano, Giordania, Turchia. Forse Iraq, forse Israele. Forse l’Europa o il nord America. Insomma, una nuova diaspora senza precedenti.
L’evacuazione di Aleppo significa che l’opposizione ad Assad cede il controllo della città al nemico, ma questo in alcun modo viene visto come una resa. E’ solo l’ennesimo capitolo di una saga ormai lunga sette anni, che ha messo a nudo l’incapacità delle istituzioni e degli organismi internazionali di trovare una soluzione a questa inutile strage di civili, ad Aleppo così come nelle altre aree a rischio del Medio Oriente. Per questo per Padre Ibrahim e per i cristiani mediorinetali sarà l’ennesimo Natale vissuto con la paura che diventi sempre più rosso, sangue.