Elezioni in Zimbabwe, il tiranno Mugabe trema
31 Marzo 2008
di Anna Bono
Lo Zimbabwe è andato al voto sabato 29 marzo, ma ancora si attendono i risultati della consultazione. Finora la Commissione elettorale, che aveva promesso di divulgarli entro il tardo pomeriggio del giorno successivo, ha annunciato soltanto l’attribuzione certa di sei seggi, tre all’opposizione e tre allo Zanu-Pf, il partito di governo. La capitale Harare è presidiata dalle forze dell’ordine e la popolazione è stata invitata a non uscire di casa. Sembra una replica della situazione che all’inizio dell’anno ha scatenato la crisi post elettorale in Kenya. Nel caso che alla fine venga annunciata la vittoria del presidente in carica, Robert Gabriel Mugabe, e dello Zanu-Pf, il paese potrebbe insorgere contro il tiranno che lo ha ridotto in miseria.
Grazie alle sue politiche economiche dissennate, lo Zimbabwe è l’unico paese al mondo in cui il prezzo di un prodotto può aumentare nel lasso di tempo che trascorre da quando un cliente lo prende dallo scaffale di un negozio a quando arriva alla cassa e si appresta a pagarlo. Infatti, e per quanto sembri incredibile, l’inflazione nell’ultimo anno ha davvero raggiunto e superato l’astronomico, preannunciato tasso del 100.000%. L’altro primato detenuto dall’ex Rhodesia del Sud riguarda il tasso di disoccupazione stimato tra l’80 e il 90%.
Piuttosto che elencare cifre e dati, si fa più in fretta a dire che lo Zimbabwe, autosufficiente in epoca coloniale e subito dopo l’indipendenza per alcuni prodotti agricoli e addirittura esportatore di altri tra i quali il tabacco, oggi è letteralmente in rovina e manca di tutto. Dal 2000, poi, l’economia è in caduta libera a causa dei danni causati dalla confisca governativa di migliaia di fattorie, quasi tutte di proprietà dei discendenti dei coloni europei giunti nella regione due secoli or sono, e che ora o non producono più nulla oppure, frantumate in piccoli appezzamenti, rendono quel poco che, condizioni meteorologiche permettendo, si può ricavare da un’economia di sussistenza praticata con attrezzi rudimentali. Per dare la misura del disastro, basti dire che nel 2000 i capi di bestiame erano quattro milioni e oggi sembra che non ne restino più di 80.000.
Tanto per assestare il colpo di grazia all’economia nazionale, a pochi giorni dal voto è stata varata la ‘Legge di indigenizzazione’ in base alla quale d’ora in poi aziende e società private dovranno essere di proprietà zimbabwana almeno al 51%: un provvedimento che in altri paesi africani nei quali è in vigore non ha dato altro risultato che complicare e rendere più rischiosi gli investimenti stranieri.
È in queste condizioni che si sono svolte le elezioni presidenziali, legislative e amministrative delle quali in queste ore si attende con ansia l’esito, mentre l’opposizione già festeggia la vittoria. In occasione delle presidenziali del 2002, Mugabe aveva disposto che un elicottero fosse pronto 24 ore su 24 a decollare dal giardino della sua residenza per portarlo in salvo in caso di sconfitta. Ora il timore è che la violenza si scatenerà comunque perché – sostiene l’opposizione – il ritardo nella proclamazione dei vincitori può solo voler dire che il partito di governo sta alterando i risultati in fase di spoglio delle schede per assicurare ancora una volta la leadership al presidente. È certo che, nei 28 anni trascorsi da quando ha assunto il potere, Robert Mugabe ha chiaramente dimostrato di essere disposto a tutto pur di godere per sempre – ormai ha 83 anni compiuti – dello stato di onnipotenza che deriva ai despoti africani tanto dall’immaturità politica dei loro concittadini quanto dalla compiacenza delle forze politiche e sociali internazionali che un tempo si definivano di sinistra e che oggi più comunemente si chiamano no global: pronte a chiudere gli occhi su qualsiasi misfatto pur di esaltare presunti modelli di sviluppo alternativi a quello occidentale, come si è visto alcuni mesi fa quando sono riuscite a ottenere che Mugabe, in cambio delle sue invettive contro Gran Bretagna e Stati Uniti, venisse ricevuto con onore al vertice euroafricano di Lisbona; e come si vede a ogni assemblea e summit delle Nazioni Unite, dove lo accolgono con scroscianti applausi mentre sciorina le sue solite accuse all’Occidente colonialista e imperialista.
La novità politica di questo appuntamento elettorale è stata che alla carica presidenziale, oltre a Morgan Tsvangirai, leader di una delle due fazioni in cui si è diviso lo storico partito d’opposizione, il Movimento per il Cambiamento Democratico, si è candidato come indipendente anche l’ex ministro delle finanze Simba Makoni e quindi Mugabe è stato sfidato per la prima volta da un avversario uscito dal suo partito e dal suo governo. Ciononostante i sondaggi pre-elettorali lo davano vincente al primo turno con il 57% delle preferenze e, per il resto, persino la minore tensione rispetto al passato in cui è trascorsa la vigilia del voto, più che un buon presagio è sembrata il segno della sfiducia di un popolo esausto e reso pressoché inerte dalle privazioni patite. Malgrado le rassicurazioni degli osservatori elettorali della Comunità di sviluppo dei paesi dell’Africa australe, di cui lo Zimbabwe fa parte, secondo i quali era stato fatto il necessario affinché le elezioni fossero libere e credibili, i portavoce dell’opposizione ritenevano che l’esclusione dei giornalisti e di altri osservatori internazionali reputati inopportuni e l’annuncio che i risultati delle presidenziali sarebbero stati comunicati senza pubblicare i conteggi dei singoli seggi fossero più che sufficienti a sollevare dubbi sulla correttezza delle operazioni elettorali. Adesso ogni ora che passa lo conferma.