Elogio delle femmine, senza essere femministe
08 Marzo 2011
di Daniela Coli
Piero Ostellino è stato quasi linciato dalle femministe d’antan per avere scritto che avere trasformato in prostitute le ragazze ospiti alle cene del Cav. era un’offesa alla libertà e alla dignità della donna in base all’antico e legittimo principio femminista l’utero è mio e me lo gestisco io: il diritto alla libertà della donna di gestire il corpo a proprio piacere.
A parte il fatto che le proteste per la dignità del corpo della donna non tengono conto, come ha scritto Tamar Pitch, studiosa non certo berlusconiana, che il corpo delle donne non costituisce il corpo della nazione, poiché lo stato moderno si basa sull’artificio del contratto, Ostellino ha ragione a ricordare che il diritto alla libera gestione della propria sessualità è stata la principale battaglia delle femministe, legittimata giuridicamente dalla legge sull’aborto.
Negli anni ’70 alla base della rivoluzione femminista fu proprio la liberazione sessuale. Carla Lonzi, militante del Pci, autrice di Sputiamo su Hegel, teorica femminista nel “Manifesto della rivolta femminile” del 1970 scriveva: “Verginità, fedeltà, castità, non sono virtù, ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia”. Nel “manifesto della rivolta femminile” si trovano i temi centrali del femminismo italiano: la dichiarazione dell’orgoglio della differenza femminile, la critica al matrimonio, la rivendicazione a una sessualità svincolata dal matrimonio e dalla maternità, l’autocoscienza, il problema dell’aborto. Dal femminismo poteva venire fuori di tutto ed è venuto fuori di tutto: dalla professionista delle quote rosa, alla donna in carriera con o senza famiglia, alla lesbica, alle Carrie Bradshaw tutte Sex and the City, a Moana Pozzi, la pornostar degli anni ’80 cocca della sinistra, alle escort laureate degli anni 2000. E non c’entra affatto Berlusconi in questa trasformazione delle italiane. C’entra molto più il femminismo, un epifenomeno, come il ’68, della modernizzazione un po’ selvaggia che dagli anni ’50 ha trasformato l’Italia da paese povero e contadino con famiglie extralarge nell’Italia moderna e ricca con famiglie mononucleari.
Occorre smetterla di fare le santerelline femministe dell’ultim’ora, di pontificare sull’etica, sulle studentesse da proteggere dal berlusconismo e ricordare invece gli anni del femminismo: la voglia di riprendersi la notte, il diritto all’orgasmo, una grande vitalità sessuale. Gli anni in cui le donne cominciano a dire scopare, trombare, fottere, come gli uomini, invece di fare l’amore, per togliere al sesso ogni accezione sentimentale. Negli anni ’70 il sesso diventa un impulso da gestire come viene e con chi viene e ci si diverte alla grande, senza tabù. Bernardo Bertolucci, un regista amato dalla sinistra, mostra in The Dreamers cosa facevano i ragazzi di quel periodo: scopavano come ricci pure tra fratello e sorella, perché era proibito proibire. “Chi mi ama mi segua” diceva il culo da pin up in jeans Jesus sui muri di tutt’Italia: la pubblicità di Oliviero Toscani fu il simbolo degli anni ’70, mentre Porci con le ali furono la Bibbia di quel periodo. Tante canne, musica, controcultura, tanto sesso di ogni tipo. Basta guardare le immagini dei filmati di Parco Lambro del ’76 con centinaia di belle ragazze nude a danzare, cantare e scopare. Non era Drive in, né il Bagaglino, era Parco Lambro, ma le ragazze avevano tette e culi sodi come quelle di Drive in e del Bagaglino, perché erano giovani. C’era anche l’aborto, lo ha ricordato sul Corriere nel 2010 Susanna Tamaro: aborto domestico col metodo Karman o gita a Londra, il tutto vissuto senza troppi patemi e con la copertina dell’Espresso con tanto di bella donna nuda in croce.
Le signore dell’appello alle Italiane, con la Susanna Camusso che sembra la sorella dell’Uomo di marmo ripescata in un mercatino di souvenir dell’ex Ddr, non si rendono conto che il femminismo è stato soltanto un epifenomeno della più vasta modernizzazione della società italiana. Appunto, se a una ragazza è vietato uscire di casa, di avere le chiavi e di riprendersi la notte per muoversi e andare a divertirsi – l’ha capito Giuliano Zincone – come si farà a vendere motorini, auto, vacanze, viaggi? Se una ragazza deve stare tutto il giorno chiusa in casa e non deve farsi bella, come sarà possibile vendere vestiti, cosmetici, jeans, scarpe?
In Italia, c’era il disperato bisogno (cito ancora Giuliano Zincone, Corriere della Sera, 24 dicembre 1997) di lasciarsi alle spalle la frugale cultura contadina. Dagli anni ’50 ai ’70 l’India fece imponenti sterilizzazioni di massa, la Cina impose il figlio unico, noi risolvemmo il problema col femminismo. Gli accademici e le accademiche di sinistra non hanno ancora capito che il ‘68 e il femminismo furono epifenomeni di un cambiamento radicale epocale per l’Italia. Olivia Guaraldo, filosofa politica dell’università di Verona, per criticare il liberalismo selvaggio di Ostellino e per far capire quale diabolica operazione vi fosse sotto il Bagaglino ha citato Foucault, ma si è dimenticata che proprio Foucault ha scritto ne Les mots e les choses, testo filosofico tosto, che Marx nuota come un pesce nella cultura dell’800, dominata da Adam Smith e Ricardo, perché il marxismo non introduce alcun cambiamento reale nel sapere occidentale e si inserisce senza difficoltà in una disposizione epistemologica che lo ha accolto con favore.
Il capitalismo non ha bisogno di schiavi e schiave, come pensa la Guaraldo, ha bisogno di consumatori, anche di operai/e che comprano auto, case, elettrodomestici, giornali, vestiti, camicette, rossetti, vanno in vacanza, fanno viaggi, etc., e per questo Marx nuota a suo agio nella cultura della sua epoca e questo lo insegna proprio Foucault. La sinistra fece a pezzi L’albero degli zoccoli, il film di Olmi che raccontava la frugalità e la poesia contadina, lo chiamò l’albero delle ciabattine con disprezzo, perché era anche un film religioso, che provocava nostalgia per un mondo scomparso. Mad Men ci mostra l’America dei primi anni ’60, come la pubblicità e la tv entrano nella nostra vita e ci rendiamo conto che l’Italia ha vissuto in quegli anni lo stesso processo di modernizzazione. Facevamo parte di quel processo di modernizzazione e non potevamo non stare al passo. Don Draper, il creativo di Mad Men, che ha fatto ventenne la guerra di Corea, ricorda continuamente l’America contadina da cui viene, che ha rifiutato inventandosi un’altra identità, ma di cui sente nostalgia.
Per questo è davvero stupido pensare che Berlusconi o il berlusconismo abbiano cambiato antropologicamente la donna: come se Silvana Mangano di Riso amaro, film caro alla gauche radical chic, non fosse formosa e con un seno diverso da quello di Manuela Arcuri. Le mondine di Riso amaro hanno lo stesso corpo delle ragazze di Drive in e del Bagaglino: sono formose, toniche, con le tette, non magre, appassite e anoressiche come le nostre Twiggy.
Se le vestali di “Se non ora quando?” avessero un po’ di cultura storica e guardassero le foto delle giovani donne delle città occidentali degli anni trenta e degli anni sessanta si renderebbero conto che erano in carne, ben tornite, con un bel seno, con l’aspetto sano. Basta guardare Kate Winslet in The Reader, un fisico sano e bello, e Christina Hendricks di Mad Men: le donne degli anni trenta e degli anni sessanta non erano magre e senza seno, come le modelle anoressiche degli anni ’70. Berlusconi è un imprenditore importante, ma avere docenti pronti a teorizzare che il Cav abbia antropologicamente modificato l’Italia induce a chiedersi se la nostra università pubblica sia da fare frequentare ai nostri ragazzi. Noi abbiamo storiche che sul Corriere fanno la crociata a Berlusconi accusandolo di invitare le ragazze a usare la bellezza per migliorare il proprio status o per comprarsi la borsa di Prada. Carrie Bradshaw che sul “New York Star” ha una rubrica “Sex and the City”, dove cazzeggia come la Rodotà sul blog del Corriere su scarpe, amori e altro, è un prodotto del femminismo, non del berlusconismo. Carrie ha tre amiche con cui fa autocoscienza, con loro va a giro per New York giorno e notte, partecipa a eventi di ogni tipo, compra scarpe, vestiti, collane, cappelli, si tiene in forma, ha amori e scappatelle, però vuole a tutti i costi Mr. Big, facoltoso finanziere. Chissà perché vuole per forza Mr. Big con tutti i bei ragazzoni che rimorchia. Dobbiamo dirlo alle nostre vestali dell’appello alle Italiane? Lo vuole perché è ricco, ha la limo con l’autista e può farle bei regali. Quando Carrie ha lo sfratto e si rende conto di aver sperperato tutti i suoi soldi in Manolo e vestiti, corre dall’anzianotto e panzuto Mr. Big, non da uno dei bei ragazzoni passati nel suo letto. Quando si molla con Mr. Big, che nel frattempo ha sposato un’altra, Carrie non perde la testa per qualche bel giovanotto disoccupato e neppure per un barista come la sua amica avvocato, ma per un altro anzianotto ricco e di successo, lo scultore Aleksander Petrovsky, un russo che si è fatto pure la vasectomia per non avere altri figli e vuole vivere a Parigi. Nonostante la vasectomia, Carrie lascia New York per Parigi e ci rimarrebbe per sempre, se Aleksander non si fosse stancato di lei. Cosa cerca Carrie? Cerca la bella vita, le scarpe di Manolo, i bei vestiti, le belle cene nei bei restaurant nelle belle città glamour in una limo con autista. E’ poi così diversa dalle ragazze messe all’indice per essere state a cena ad Arcore dalle vestali del femminismo d’antan capeggiate della donna di marmo Camusso?
Le nostre vestali dovrebbero vedere o leggere An Education, un film del 2009, tratto dal libro di memorie di Lynn Barber, giornalista del Sunday Times. An education tratta di una studentessa modello sedicenne, con genitori che hanno investito tutto nella sua educazione a Oxford, dove imparerà il latino e il greco. Jenny ( Lynn), però, è anche affascinata dall’esistenzialismo (siamo all’inizio degli anni ’60), sogna Parigi, la Greco, il jazz. Conosce David (Simon Goldman), un giovanotto sui trenta. E’ affascinata dalle sue auto sportive, dai pullover di cashmere, dalle scarpe di camoscio, ma soprattutto dai menu dei ristoranti italiani, dagli week end a Parigi, dai vestiti e dai dischi che lui le regala. David conquista anche la sua famiglia, di solito attenta agli amici della figlia: ha glamour, regala vino francese, sembra affidabile proprio perché più vecchio. Quando David la chiederà in moglie, la madre proto-femminista ritornerà tradizionalista: “Meglio un buon marito che un dottorato” concluderà. Jenny (Lynn) annuncerà alle insegnanti di non avere alcuna voglia di andare a Oxford per diventare acida come loro, quando può fare una bella vita con un marito simpatico a Parigi ad ascoltare jazz, guardare bei film, andare a teatro, leggere buona letteratura e filosofia, mangiando in ottimi ristoranti, con bei vestiti, in eleganti palazzi. Purtroppo, il sogno s’incrina: David (Simon) è sposato con figli e si dilegua. Jenny (Lynn) si farà riammettere al college, passerà l’esame e andrà a Oxford, dove studierà latino e greco, avrà molti fidanzati e riuscirà ad andare a Parigi e a fare una bella vita col dottorato di Oxford. Per concludere: ci farebbe piacere sapere se Umberto Eco legge Kant dopo essere andato a letto senza cena, se ha una casa senza riscaldamento per l’inverno e soprattutto se è rigorosamente astemio.