Emma seppelisce le mille manovre di LCdM

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Emma seppelisce le mille manovre di LCdM

Emma seppelisce le mille manovre di LCdM

04 Febbraio 2008

Le
ultime mosse di Luca Cordero  di
Montezemolo meritano un’attenta analisi perché consentono di comprendere bene
come il percorso seguito dal presidente di Confindustra abbia determinato una
situazione che lui stesso ha definito disperata.

Riflettere
sulla sua vicenda, è utile anche per capire dove è finita l’organizzazione
degli imprenditori e che cosa si può fare per riparare ai tanti errori
accumulati.

Negli
ultimi anni Montezemolo ha cambiato più volte strategia: tra il 2005 e il 2006
ha tentato la carta del patto con Romano Prodi e la Cgil, patto che sulle
spalle degli spremuti ceti medi, avrebbe dovuto garantire un certo rilancio e
comunque comodi vantaggi per le imprese (innanzi tutto le più grandi).

Questa
via è andata a sbattere con l’impopolarità invincibile dell’esecutivo prodiano,
ed è stata sostituita dalla ondata antipolitica, lanciata in sintonia dal
Corriere della Sera (e dal libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo “La
casta”) e dallo stesso Montezemolo.

L’operazione
doveva servire a liberarsi dello scomodo rapporto con Prodi e insieme tenere ai
margini Silvio Berlusconi. Intanto il Corriere lanciava Walter Veltroni 

E
Montezemolo già si vedeva partner del leader più nuovista d’Italia. La fallita
aggressione berlusconiana a Prodi durante la discussione sulla finanziaria 2008
seguita dalla rottura con Gianfranco Fini, opportunamente lanciata dal Corriere
della Sera, aveva dato nuove speranze al leader degli industriali, appena
appena sbiadite della “rivoluzione del predellino”: l’annuncio di Berlusconi di
un nuovo partito e di una nuova strategia, compresa un’apertura a Veltroni.

Il
radicarsi del dialogo tra il capo di Forza Italia e quello del Partito
democratico, dopo un po’, spiazzava Montezemolo che si vedeva costretto a
organizzare apertamente un incontro con Casini e Fini, per cercare di
costruirsi uno spazio.

Poi
la situazione è precipitata: il governo Prodi è andato in mille pezzi – come
era stato previsto dagli osservatori più attenti di cose politiche -, si è
rapidamente riformato uno schieramento delle forze di centrodestra pronte a
candidarsi al governo del Paese. Veltroni non ha dato molto ascolto al
presidentissimo perché era in tutt’altre faccende affaccendato: essenzialmente
a salvarsi la vita dalle trame per un momento convergenti di Prodi e Massimo
D’Alema.

Infine
la situazione politica ha preso un deciso abbrivio verso il voto anticipato. E
a questo punto è esplosa l’ansia montezemoliana: il suo ruolo diventava
assolutamente irrilevante.

Ha
cercato così, in tutti i modi, una via di uscita: una sponda a D’Alema sul
rinvio del voto fino all’approvazione di una riforma elettorale, una sponda a
Casini sulle preferenze. L’iniziativa montezemoliana è diventata affannosa fino
all’ultima mossa: il fronte delle imprese per la riforma elettorale.

Su
questa mossa l’ha aiutato il vecchio Franco Marini – tra l’altro grande amico
del direttore generale di Confindustria, il cui papà era uno stimato leader dei
chimici della Cisl – che aveva bisogno di qualche truppa per tentare
un’operazione di convincimento di Berlusconi. Le organizzazioni del lavoro
autonomo, dai commercianti agli artigiani, sono assai poco simpatetiche con
Confindustria, che le ha emarginate dalle trattative mentre assisteva
disinteressata al massacro fiscale dei ceti medi.  Però avevano i loro buoni motivi per andare
incontro all’iniziativa
montezemoliana:  a parte quelle di
sinistra (dalla Lega delle cooperative alla Confesercenti) che dovevano
preparare le basi per affiancare in campagna elettorale il Partito democratico,
c’era il lavorio delle nomenklature primorepubblicane, ben insediate in queste
organizzazioni, che rispondevano ai richiami di Marini. Poi, c’erano i singoli
propositi: Carlo Sangalli della Confcommercio, con la prudenza che gli è sempre  congeniale, voleva stemperare la manovra, di
fatto per non ostacolare troppo l’esito elettorale. Giorgio Guerrini della
Confartigianato è un altro come Montezemolo in preda all’ansia per un ritorno
di Berlusconi che potrebbe coincidere con la decisione della sua base di artigiani
di liberarsi di un leader così amico di Prodi, il tartassatore fiscale.

Alla
fine, l’elemento decisivo per sgonfiare l’iniziativa montezemoliana è stata una
sintetica dichiarazione di Emma Marcegaglia, la successora, che dicendo: “La
riforma della politica italiana è indispensabile, ma si può fare prima o dopo
il voto” , ha messo una lapide sul tentativo di rinviare il voto.

Montezemolo
ha addirittura sperato per un momento che la proposta di quello scriteriato di
Paolo Flores d’Arcais di dargli l’incarico di governo per bloccare Berlusconi,
potesse diventare una proposta politica credibile. Poi è crollato tutto. E
Montezemolo se ne è accorto – come nota Oscar Giannino su Libero – anche dalla
stampa amica che ha seguito con scetticismo i suoi sforzi. Di qui l’ultima
svolta: elezioni subito e fase costituente nella prossima legislatura. Un
tentativo di legarsi al carro di Casini per cercare uno spazio residuale.

Non
avendo mai considerato molto le doti politiche di Montezemolo, quando l’ho
visto avventurarsi su una strada disperata e perdipiù senza i consigli del
saggio Paolo Mieli, ero sicuro dell’esito infausto.

Però
al di là di questa constatazione, resta il prezzo che questo usare una carica
di rappresentanza di interessi sociali, per farsi un proprio spazio politico,
costa a  tutta la Confindustria.

La
Marcegaglia ha dimostrato di volere essere cosa ben diversa dal montezemolismo.
Per convincere tutti, dovrà innanzi tutto essere molto rigorosa nella
composizione della sua squadra.