Il mondo si divide in due, i Paesi che hanno risorse naturali come gas e petrolio e quelli che non ce l’hanno. L’Italia non le ha e da qualche parte deve trovarle. Il gas va acquistato e la Russia appare una scelta obbligata. Da qui l’accordo chiuso fra Eni e Gazprom.
Il 15 maggio il premier Berlusconi ha incontrato a Sochi il suo omologo Putin, presenziando all’accordo stretto fra l’Eni, la russa Gazprom e le compagnie del gas bulgare, serbe e greche. Sono i Paesi che verranno attraversati dal gasdotto South Stream, ancora in fase di progettazione e che dovrebbe essere realizzato entro il 2015 dalla joint venture Eni-Gazprom (con Saipem a stendere i tubi a duemila metri sotto il mare). Il gas russo arriverà dalle stazioni di compressione di Beregovaya, sulle coste del Mar Nero, fino al porto di Varna in Bulgaria.
A quel punto il gasdotto si dividerà in due tronconi, uno diretto a nord, verso l’Austria, attraversando Serbia e Balcani, e l’altro a Sud, diretto verso le coste pugliesi dell’Italia, passando dalla Grecia. In questo modo Gazprom potrà aggirare la riottosa Ucraina per stendere i suoi artigli sull’Europa. La reazione del presidente ucraino Yuschenko è stata di chiedere a Mosca una immediata revisione di tutti gli accordi sul gas.
South Stream seppellirà il progetto di un gasdotto alternativo alle rotte russe, il “Nabucco”, che sarebbe piaciuto agli americani, ai turchi e alla UE. L’accordo stretto fra Eni e Gazprom potrebbe quindi contribuire non solo alla sicurezza energetica del Vecchio Continente ma anche a quella strategica della Russia che, nel suo ultimo Piano per la sicurezza nazionale (apparso sul sito del Consiglio della Federazione Russa), fa sapere di “non poter escludere l’uso delle forze militari nella lotta competitiva per le risorse”.
Dietro la soddisfazione espressa da Putin a Berlusconi, le cose non sono così semplici. South Stream è un progetto di lungo periodo che ha avuto un parto difficile. E’ dal 2007 che i vertici delle due multinazionali si incontrano per firmare accordi. Fino a qualche tempo fa l’ipotesi del gasdotto sembrava aver perso peso rispetto al Nabucco. Il primo problema è legato alla tempistica (il 2015 è una data verosimile?) come pure a quanto potrà investire Gazprom nell’operazione. La Russia è in recessione, il Pil è calato bruscamente negli ultimi mesi insieme alle esportazioni di gas e petrolio, il valore del gas si è deprezzato. Se la domanda interna ed estera non regge, mancherebbero i rubli necessari alla ricerca di nuovi giacimenti e allo sfruttamento di quelli esistenti.
Nel memorandum siglato a Sochi è stato annunciato un ampliamento della capacità di trasporto di gas della tubazione da 31 a 47 miliardi di metri cubi l’anno. Putin si è spinto fino a una stima di 63 miliardi di metri cubi l’anno. Ma in questo discorso mancano riferimenti precisi ai costi necessari a comprimere il gas per farlo viaggiare. Se il costo della tubazione è fisso, quello del gas deriva dal numero delle stazioni di compressione previste per allargarne o diminuirne il volume. Per adesso c’è l’impianto di Beregovaya ma le altre stazioni verranno costruite in seguito perché si tratta di un investimento modulabile nel tempo. L’importante allora è capire qual è la soglia minima per recuperare l’investimento, quali sono i volumi minimi di vendita previsti. E’ anche probabile che se Gazprom fosse costretta a limitare le esportazioni di gas russo allora South Stream servirebbe a far viaggiare l’oro blu proveniente dal Caucaso e dall’Asia Centrale.
C’è infine un’ultima questione che tocca direttamente l’Italia. Non è detto che il troncone sud di South Stream, quello diretto nel nostro Paese, alla fine si faccia. A rifornire l’Europa basterebbe la direttrice balcanica, dalla Serbia all’Austria (e da lì in Nord Italia); in questo modo l’Italia (e il Mezzogiorno) perderebbe un’occasione di grande importanza dal punto di vista economico e strategico. Non è un caso che il quotidiano russo Kommersant abbia definito il nostro Paese l’anello debole della catena, forse in previsione della gazzarra che potrebbe scatenarsi nelle comunità locali, magari appoggiate dalla magistratura, dai comitati verdi e dalle forze politiche che inseguono altri ideali energetici. Un pericoloso incrocio di interessi conservatori. In ogni caso manca ancora un progetto per la tubatura che dovrebbe portare il gas russo dal punto di approdo in Puglia verso il Nord Italia, anche se Snam Gas sta già pensando a come risalire l’Adriatico.
Se ragioniamo in termini di ‘azienda-paese’, sarebbe meglio che il troncone sud si facesse, visto che in caso contrario spenderemmo di più per collegarci a una rete esterna al nostro Paese. Ma se ragioniamo da un punto di vista esclusivamente strategico, all’alleanza Eni-Gazprom basta che il gas arrivi in Europa. I Paesi balcanici potrebbero paradossalmente offrire meno elementi di criticità.