Enti locali, il governo spegne la miccia dei derivati
11 Marzo 2009
Con il taglio dei tassi arriva una manna per gli enti locali che hanno debiti coperti da prodotti derivati. L’ultima sforbiciata della Bce, che la scorsa settimana ha portato il costo del denaro ai minimi storici (1,5 per cento), sta trascinando sempre più in basso anche l’euribor, il tasso di riferimento per i prestiti a tasso variabile e su cui sono parametrati anche gli strumenti derivati di comuni, province e regioni.
L’euribor a tre mesi oggi è sceso per la diciottesima volta consecutiva da 1,70% a quota 1,69%. In calo anche l’euribor a una settimana che passa dall’1,10% all’1,05% e di quello a un mese che scende dall’1,36% all’1,33%. Tra qualche giorno la commissione finanze del Senato concluderà l’indagine sui derivati degli enti locali. Il governo tiene alto il livello di guardia, ma nei giorni scorsi ha usato parole rassicuranti. E anche la relazione della Corte dei Conti, che ha suscitato grandi preoccupazioni, in realtà a guardare bene i dati non fa scattare alcun allarme rosso. I motivi non sono riconducibili solo all’abbassamento del costo del denaro, ma riguardano anche le regole di prudenza e trasparenza a cui gli enti locali devono attenersi.
Il sottosegretario all’Economia, Giuseppe Vegas, ha illustrato con chiarezza la situazione, sempre davanti alla commissione Finanze di Palazzo Madama. «Guardando i dati mi sembra che la vicenda dei derivati degli enti locali ha colpito l’opinione pubblica più di quanto avrebbe dovuto. Il meccanismo dei derivati è sicuramente rischioso – ha aggiunto – ma le misure legislative che sono state adottate per regolamentare il fenomeno in qualche modo hanno consentito di evitare le punte di maggiore rischio e di tenere il fenomeno sotto controllo. Tra l’altro – ha detto il sottosegretario all’Economia – l’andamento dei tassi nell’ultimo periodo ha influito positivamente sulla vicenda».
Gli amministratori locali non possono agire come il singolo investitore privato. Comuni, province e regioni hanno solo la possibilità di individuare gli strumenti per coprirsi dai rischi delle fluttuazioni dei tassi d’interesse su prestiti a lungo termine necessari per fare investimenti. Bisogna ricordare, innanzitutto, che il derivato non è un debito, ma un contratto che disciplina uno scambio di flussi monetari. Tra i pochi derivati che gli enti locali possono sottoscrivere ci sono quelli che tecnicamente si chiamano swap di tasso d’interesse. E tra questi risultano consentiti solamente quelli strutturati nella forma più semplice che, schematizzando al massimo, funzionano così: l’ente che ha acceso un finanziamento a tasso fisso può rivolgersi a un istituto finanziario terzo per scambiare il suo flusso di pagamenti a tasso fisso con uno a tasso variabile (e viceversa). Tutto qui.
La maggior parte degli enti ha utilizzato i derivati per non rimanere vincolati ai tassi fissi, molto elevati, contratti prima dell’introduzione della moneta unica.
I rischi esistono anche in questi casi, nessuno lo nega, ma sono molto più limitati rispetto a quelli legati a derivati più complessi che hanno alla base, ad esempio, la cartolarizzazione dei mutui immobiliari subprime oppure le obbligazioni di aziende private. Questi sono strumenti che non devono finire in mano agli enti locali perché troppo rischiosi e la legge non lo consente. Ecco perché non è il caso di allarmare l’opinione pubblica lasciando intendere che le casse degli enti pubblici siano piene di titoli tossici.
Può capitare che in un determinato momento l’ente locale sia avvantaggiato dal pagare a tasso fisso, mentre e in altri momenti sia favorito dal tasso variabile. Dipende dall’andamento dei tassi di mercato. Comunque sta sempre pagando ciò che è stato contrattualmente pattuito con lo swap di interesse, senza sorprese. E il risultato finanziario dell’operazione si vedrà solo alla scadenza del debito sottostante che può durare 10, 20 o 30 anni. E’ sbagliato giudicare i derivati degli enti pubblici, finalizzati alla gestione del debito di lungo periodo, al valore dei tassi di interesse in un determinato momento (in gergo tecnico si parla di valutazione mark to market). Un valore di mercato negativo dello strumento derivato significa che, sulla base del livello attuale dei tassi d’interesse, i flussi che l’ente pagherà valgono oggi di più di quelli che riceverà alla scadenza del contratto. Questo valore dovrebbe essere pagato dall’ente alla controparte solo se decidesse di chiudere il contratto derivato prima della scadenza.
In base a questo ragionamento gli enti pubblici oggi hanno in mano strumenti derivati con valore di mercato positivo. In altre parole: coloro che negli anni passati hanno scambiato il tasso fisso con uno variabile oggi potrebbero avere un vantaggio a chiudere in anticipo la loro posizione in derivati visto che l’euribor (il tasso di riferimento per i mutui a tasso variabile) è ai livelli minimi a causa del taglio dei tassi fatto dalla Bce. L’amministratore locale, però, non può ragionare in questi termini, tipici di chi agisce in modo speculativo sui mercati finanziari.
I dati della Corte dei Conti vanno perciò letti con attenzione. Secondo la magistratura contabile il debito complessivo di province e comuni nel 2007 ammontava a 55,4 miliardi di euro, di questi il 57,5% (31,9 miliardi) è coperto da prodotti derivati. Questo significa solamente che più della metà degli amministratori ha ritenuto opportuno proteggersi dall’andamento dei tassi, spesso passando da fisso a variabile. Emerge inoltre che, nel bilancio di previsione 2008, il 52,5% dei comuni prevedeva delle perdite in relazione alle operazioni derivate, mentre il 36,8% riteneva positiva la situazione dell’operazione. Per quanto riguarda le province, solo il 20% ha ipotizzato perdite a fronte del 65% che riteneva positiva l’operazione. Tutte queste valutazioni, però, hanno poco senso perché basate sul valore di mercato dei tassi . Oggi, con l’euribor ai minimi, le previsioni sarebbero molto più ottimistiche.