Entro quale contesto politico s’inserisce la visita di Clinton e Ashton
30 Ottobre 2012
di Lavdrim Lita
I Balcani occidentali tornano al centro dell’attenzione di Unione Europea e Stati Uniti con una missione congiunta che porterà Hillary Clinton e Catherine Ashton in visita, assieme, nella regione.
La prima tappa prevista è Sarajevo, in Bosnia Erzegovina, oggi, martedì 30 ottobre. L’obiettivo dei colloqui con la presidenza tripartita per Ashton e Clinton sarà quello di ribadire il sostegno di una prospettiva europea per un’unica, unita e sovrana Bosnia Erzegovina. Ue e Usa, poi, solleciteranno i leader del Paese ad affrontare le urgenti sfide davanti a loro: riforme, dall’economia, alla creazione di occupazione, fino al rule of law.
Mercoledì 31 ottobre, invece, Ashton e Clinton saranno prima a Belgrado e poi a Pristina, per ribadire il comune sostegno al dialogo per la normalizzazione delle relazioni fra le due parti, dopo il primo incontro tenutosi a Bruxelles lo scorso 19 ottobre. Nell’agenda congiunta Ue-Usa, sono previsti incontri con il presidente serbo Tomislav Nikolic e il primo ministro serbo Ivica Dacic, mentre in Kosovo sarà la volta del presidente Atifete Jahjaga e del premier Hashim Thaci.
Secondo Bruxelles e Washington, il dialogo con la mediazione europea ”è nell’interesse di entrambe le parti”; il suo obiettivo, inoltre, consiste nel “migliorare la vita delle persone, aiutare a risolvere i problemi e portare Serbia e Kosovo più vicine all’Ue”. Per la Serbia e per le sue prospettive di integrazione europea non è decisamente un buon momento, e vengono confermati i timori emersi a Bruxelles a seguito del successo delle forze conservatrici e nazionaliste nelle elezioni della scorsa primavera. A quasi tre mesi dall’insediamento a Belgrado del nuovo governo di coalizione fra conservatori nazionalisti e socialisti, la Serbia sembra essersi in qualche modo distanziata dalla chiara opzione europea e di rapida integrazione che la passata dirigenza e l’ex presidente riformista Boris Tadic in particolare avevano posto come prima priorità del Paese.
L’incombere della crisi e la necessità di far fronte all’emergenza economica ha deteriorato notevolmente la situazione, con debito pubblico e deficit di bilancio in crescita, Pil negativo, inflazione e disoccupazione in forte aumento, investimenti in frenata, prezzi in salita.
Sia il presidente conservatore Tomislav Nikolic sia il premier socialista Ivica Dacic, del resto, hanno dichiarato a più riprese che Belgrado – a cui la Ue ha concesso lo status di Paese candidato lo scorso marzo, ndr – non ha eccessiva fretta nel fissare una data per l’avvio del negoziato di adesione. E a raffreddare l’entusiasmo europeista della Serbia, come era da prevedere, è la spinosa questione del Kosovo, sul quale la nuova dirigenza mostra di non voler cedere di un millimetro. Ma secondo il leader del Movimento per il rinnovamento serbo (SPO) Vuk Draskovic, ex ministro degli Esteri, “la Serbia deve iniziare a normalizzare le relazioni con il Kosovo e di stabilire stretti rapporti sia culturali, oltre che economici”. Per di più, “il Kosovo è un buon vicino di casa, per tutto il significato storico che ha per noi. Pertanto, la necessità di stabilire le migliori relazioni possibili. Noi non controlliamo il territorio per oltre 12 anni, ma c’è qualcosa in grado di proteggere li, il popolo serbo e il patrimonio storico e culturale", ha affermato Draskovic ai media serbi.
Secondo lui, è di grande interesse per la Serbia accettare i termini del Consiglio dell’Ue per normalizzare le relazioni con il Kosovo. Draskovic ha inoltre detto che "la Serbia è in recessione economica, mentre il popolo è ingannato con le favole per la sovranità e l’integrità territoriale".
In questo modo, in Serbia, si profila l’opportunità di trovare un leader alla stregua di un Charles de Gaulle, che diede il via ai negoziati con i capi del Fronte di liberazione algerino (FLN), i cosiddetti negoziati di Évian: portarono a un cessate il fuoco, misero le basi per l’indipendenza dell’Algeria e la cooperazione tra i due paesi. Dopo la caduta di Milosevic, infatti, nessun leader politico in Serbia ha rotto il tabù creato dal nazionalismo cieco di tante guerre inutili.