Epifani lancia l’allarme occupazione ma non tutela i lavoratori

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Epifani lancia l’allarme occupazione ma non tutela i lavoratori

17 Marzo 2009

Il centro studi Ires della Cgil ieri ha diffuso le sue cifre sulla crisi. I dati, molto preoccupanti, sono in linea con altre previsioni nere arrivate nelle stesse ore dall’Eurostat (670 mila disoccupati in più nell’Unione europea solo nel quarto trimestre 2008). Il momento è difficile, questo lo abbiamo capito tutti, e il fatto che anche il sindacato guidato da Guglielmo Epifani ce lo ricordi è davvero di poco aiuto. A cosa serve lanciare allarmi senza individuare soluzioni? La visione catastrofica della Cgil non aggiunge nulla di costruttivo al dibattito. Sorprende, anzi, che dal palazzo di Corso d’Italia non sia giunta nemmeno una proposta concreta da mettere sul tavolo di Palazzo Chigi con l’obiettivo di confezionare un pacchetto di misure aggiuntivo per bloccare l’emorragia dei posti di lavoro. Un’occasione persa proprio alla vigilia dell’incontro di oggi tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Il Cavaliere, infatti, ieri ha dichiarato di essere pronto ad accogliere i suggerimenti di tutti gli operatori economici, purché si rispettino i limiti imposti dai vincoli di bilancio.

Vediamo, in sintesi, i dati resi noti dall’Ires Cgil. Nel triennio 2008-2010 il Pil italiano potrebbe scendere del 4%. Il dato deriva da un calo dell’1% nel 2008 e da un drastico ribasso del Pil nel 2009 che dovrebbe superare il 3%. Nel 2010 la diminuzione si ridurrà a un -0,1%. La flessione dell’occupazione in Italia dovrebbe portare a un tasso di disoccupazione del 10,1% nel 2010, nel 2009 il tasso dovrebbe salire al 9,3% dal 7,4% del 2008. Nel 2010 il numero dei disoccupati aggiuntivi potrebbe attestarsi a oltre un milione di unità rispetto al 2007 e a oltre 690mila rispetto al 2008, raggiungendo quota 2.547.000 di disoccupati contro 1.506.000 del 2007 e 1.854.000 dello scorso anno.

Uno scenario da brividi. Proprio per questo ci si aspettava qualche idea illuminante da utilizzare per evitare una simile frana. E invece la Cgil che fa? Riesce solo a battere cassa sugli ammortizzatori sociali. Il segretario confederale Fulvio Fammoni ha ribadito che «con una tassa di solidarietà per due anni sui redditi superiori ai 150mila euro, aumentando l’aliquota dal 43 al 48%, potremmo recuperare circa 1,5 miliardi l’anno». Una somma che consentirebbe di «estendere l’indennità di disoccupazione ordinaria, aumentare di circa 200 euro gli importi mensili di cassa integrazione e indennità di mobilità e ampliare la platea per il sostegno al reddito dei collaboratori».

Questi però, ammesso che funzionino, sono solo palliativi di breve durata. E la cura qual è? Andare in soccorso di coloro che si trovano in maggiori difficoltà è una cosa sacrosanta. Ma l’impostazione della Cgil è monca, perché è priva di prospettive. Il sindacato dovrebbe indicare con chiarezza le cose da fare per evitare i licenziamenti e quelle necessarie per creare nuova occupazione e sviluppo. Ma di tutto ciò non c’è traccia.

Ci sono molti punti su cui sarebbe interessante capire la posizione di Epifani e compagni in questo momento di crisi. È riduttivo chiedere una riforma degli ammortizzatori sociali, anche perché il governo su questo versante può rivendicare di aver già messo sul piatto 20 miliardi fino al 2010. Allora perché la Cgil non va oltre? Perché non torna a battersi per una revisione più generale delle regole del mercato del lavoro? Perché non pretende un controllo serio per evitare che le imprese scorrette utilizzino le forme contrattuali flessibili solo come uno strumento per avere la libertà di licenziare quando e come vogliono? E ancora, perché la Cgil non chiede con forza la riduzione del peso di tasse e contributi sui giovani lavoratori? Una misura, quest’ultima, che oltre a favorire nuove assunzioni permetterebbe alla “generazione mille euro” di avere qualche soldo in più nella busta paga.

Sono solo alcuni fronti su cui Epifani potrebbe avanzare, ora più che in passato. Ma per farlo dovrebbe accettare di ragionare in modo serio anche su una profonda riforma del sistema previdenziale. È evidente che un sindacato che annovera tra i suoi tesserati una folta platea di pensionati abbia su certi temi un grande conflitto d’interessi.