Erdogan nella bufera: spuntano tangenti e conti in banca sospetti
10 Dicembre 2010
La Turchia di Erdogan sembra stia cercando riparo ad Ovest per evitare le gelide grandinate della tempesta WikiLeaks, soprattutto in vista delle prossime elezioni di giugno. Il primo ministro turco, infatti, è tra i leader mondiali più chiamati in causa dal sito di Assange, vediamo come.
Il fronte internazionale. L’esecutivo di Erdogan è descritto dai dispacci Usa come “composto da persone che hanno una comprensione limitata della politica”, una mera “cerchia di consiglieri adulatori” a differenza del capo della diplomazia di Ankara, Ahmet Davutoglu, ritenuto ”eccezionalmente pericoloso, perché in grado influenzare Erdogan con le sue concezioni ultra islamiste”. E forse c’è proprio lo zampino di Davutoglu dietro il rifiuto di Ankara a concedere l’uso del proprio territorio alle truppe americane per condurre operazioni in Iraq (siamo a marzo 2003), mentre in un’altra leak leggiamo di finanziamenti della Turchia ad al-Qaeda, nonostante si tratti di una nazione NATO, e di come Ankara abbia chiuso un occhio nel controllare i propri confini favorendo in questo modo il flusso di armi, munizioni e denaro agli integralisti iracheni. I documenti includono anche alcuni dettagli circa gli sforzi turchi di influenzare il risultato delle ultime elezioni in Iraq a discapito di Maliki, già sostenuto dalla nazione della mezzaluna in rosso, ma poi posposto all’avversario Allawi, ritenuto più adatto a contenere il rischio di una coalizione kurdo-sciita.
Il fronte interno. Sul piano domestico la situazione per Erdogan dopo WikiLeaks non è migliore. Secondo le rivelazioni di Wikileaks, Eric Edelman, ex ambasciatore Usa ad Ankara, informò il Dipartimento di Stato di essere a conoscenza degli otto conti bancari che Erdogan avrebbe in Svizzera e risultano sospetti. La risposta di Erdogan non si è fatta attendere e ai giornalisti che avevano chiesto chiarimenti ha risposto: “Sono solo chiacchere: non ho un solo centesimo in banche svizzere. Se voi riuscite a provare che le informazioni riferite sono corrette, mi dimetterò, ma se è tutto falso: voi farete lo stesso?". E continua spiegando che le ingenti somme di cui dispone, e che sta lasciando germogliare a Berna, arrivano dai regali ricevuti dagli invitati in occasione del matrimonio di suo figlio. Secondo la stessa nota, il premier turco avrebbe raccontato di essersi permesso di mantenere gli studi dei suoi quattro figli grazie all’aiuto di un suo amico, un ricco imprenditore turco. In un altro messaggio del 2004, invece, l’ambasciatore Edelman racconta di aver appreso da fonti anonime che Erdogan avrebbe ottenuto denaro dalla privatizzazione della TüpraÅŸ, la Turkish Petroleum Refineries Corporation. Un affare da 1,3 miliardi di dollari concluso dallo Stato con un consorzio turco-russo e sempre Edelman spiega che le fortune di Erdogan sarebbero state accumulate con le tangenti intascate quando era sindaco di Istanbul. Poche parole che troveranno buoni intenditori tra gli avversari politici de "Il Sultano" (così è stato accolto da alcuni striscioni durante l’ultima visita in Libano). A giugno 2011, infatti, la Turchia andrà al voto e nonostante la vittoria nel referendum di settembre scorso, questa volta la coalizione guidata da Erdogan potrebbe non farcela.
La soluzione per il leader dell’AKP sembra essere una sola: confermare e rinfrescare i rapporti con USA e Israele. Questo, almeno, è quanto consiglia Soner Cagaptay, Senior Fellow al Washington Institute for Near East Policy e autore del libro "Islam Secularism and Nationalism in Modern Turkey: Who Is a Turk?". Per l’analista turco, infatti, se non ci sarà una svolta da parte di Ankara verso Occidente, lasciando ai ricordi “le vacanze persiane”, Erdogan potrebbe perdere le prossime elezioni e la posizione privilegiata di cui gode la Turchia nel panorama strategico-energetico. Un cambiamento, intanto, sembra già esserci stato con la spedizione del primo Canadair antincendio per aiutare il governo di Gerusalemme nel tragico incendio sul Monte Carmelo. L’impegno va’ premiato ma è ancora troppo poco, però, per un Erdogan che ha accusato lo stesso Israele di essere dietro alla fuga di notizie di WikiLeaks (c’è poco da stupirsi se pensiamo che in Egitto invece si accusa il Mossad di aver introdotto lo squalo assassino) e che ha urlato a Shimon Peres di essere un “Assassino” durante il meeting internazionale di Davos. Erdogan, insomma, spinto dal ciclone WikiLeaks, potrà tornare a guardare a Occidente, anche perché c’è un altro potenziale pericolo all’orizzonte, quello di una campagna mediatica yankee contro di lui (Murdoch è pronto ad acquistare ventiquattro nuovi canali in chiaro in Turchia) che potrà influenzare le scelte dell’opinione pubblica proprio in vista delle elezioni del prossimi giugno.