Erdogan rade al suolo le classi dirigenti
21 Luglio 2016
Qualcuno forse ricorda le immagini del colonnello Tejero che la sera del 23 novembre 1981 irrompe pistola alla mano nel parlamento spagnolo, prima di essere arrestato e condannato insieme ai militari golpisti a trent’anni di galera. Immagini sbiadite che vivendo in democrazia tendiamo a dimenticare perché – anche in circostanze eccezionali come un golpe – i sistemi democratici reagiscono sempre salvaguardando i capisaldi dello stato di diritto e le garanzie costituzionali. Non così per la Turchia.
Non dimenticheremo mai quello che sta facendo Erdogan dopo il tentato golpe militare del 15 luglio. Non si tratta solo della violenza della repressione in atto, delle frustate in piazza e degli arresti di massa nelle forze armate (26 tra generali e ammiragli, 7500 militari e 8 mila poliziotti). Come pure sembra ridicolo che l’unico paletto alzato dalle cancellerie occidentali contro la repressione scatenata in Turchia sia quello sulla pena di morte che il “Sultano” vorrebbe reintrodurre nel Paese: siamo contrarissimi alla pena di morte ma ci sono Paesi che nel loro ordinamento la prevedono e restano perfettamente democratici.
A lasciare basiti è invece la smisurata ‘reazione’ di Erdogan, del tutto sproporzionata rispetto a quello che è accaduto la notte di venerdì. Ad oggi 50 mila persone sono state rimosse dai loro incarichi, migliaia di giudici e alcuni membri della Corte Suprema. Il rettore dell’università di Ankara è stato arrestato, vengono chieste le dimissioni a 1570 professori universitari e sono state chiuse 626 scuole, mentre per gli accademici turchi è fatto divieto di recarsi all’estero. 24 emittenti radio e televisive hanno dovuto sospendere le trasmissioni ed è stato ritirato il tesserino a decine di giornalisti.
Numeri che mettono i brividi e che alimentano i dubbi sollevati da commentatori autorevoli: in Turchia è in atto un contro-golpe. Il sospetto è che il “califfo-ombra” sia proprio lui, Erdogan, impegnato a sostituire le elite della sua nazione, che se ne infischia di entrare in Europa candidandosi piuttosto a diventare il leader politico di un Islam totalmente disgregato e attraversato da guerre di ogni tipo. E’ questa l’ambiguità di fondo che si lascia dietro il fallito golpe turco: uno Stato membro della NATO che nel progetto politico inseguito dal suo cesare vorrebbe diventare lo “stato-guida” del mondo islamico, quel mondo islamico con cui l’Occidente è in rotta di collisione.
Un progetto per asfaltare le classi dirigenti turche, dunque, mentre Bruxelles risponde in modo afasico a ciò che sta avvenendo, preoccupata soltanto che Erdogan non riapra i canali della immigrazione incontrollata verso la Germania e il vecchio continente. Lo stiamo pagando per questo, no? Ebbene, se la politica tace, serve allora una grande mobilitazione popolare e della società civile per contrastare questo disegno politico, servono i girotondi in difesa dei giudici e l’indignazione contro il bavaglio alla stampa, serve che i nostri professori universitari, insegnanti, magistrati, facciano qualcosa per cercare di fermare Erdogan.
(Nella foto, operai al lavoro per demolire l’Halit Pasa Residence di Istanbul. L’albergo, secondo l’agenzia di stampa Anadolu, sarebbe stato il luogo d’incontro dei militari che hanno organizzato il fallito colpo di stato del 15 luglio scorso in Turchia. La foto risale a ieri. Courtesy Lefteris Pitarakis / AP)