Esce “La prima linea” e Sergio Segio inquina la memoria degli anni ’70
14 Novembre 2009
Volevamo scrivere una recensione su “La prima linea” (regia di Renato De Maria, con Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, Lucky Red 2009), un film sulla vita di Sergio Segio, il “Comandate Sirio” della organizzazione eversiva di stampo comunista. Ma abbiamo letto una dichiarazione dell’ex terrorista sugli anni Settanta, senza capo né coda. Che dimostra come si possa ancora distorcere la Storia e inquinare la memoria di quegli anni. Iniziamo da qui, allora.
Parlando del film, Segio ha detto che “Prima Linea aveva un padre e si chiamava Movimento del ‘77”. E no, caro compagno, ti sbagli. Per la seconda volta. Quando giocavi a fare il terrorista contro lo Stato delle Multinazionali – recitando il Capitale come fanno i Talebani con il Corano – gli artisti, i musicanti e i viaggiatori del "popolo dalle gambe lunghe" erano altrove. In un mondo molto più divertente, boccalonesco e creativo del tuo, come lo descrive Enrico Palandri (e che lo stesso De Maria ha saputo abbozzare nel precedente "Paz!"). Un mondo che, caro Segio, hai contribuito a distruggere sul nascere con la tua ideologia.
Detto questo, immaginate che un giorno uno dei detenuti di Guantanamo esca dal supercarcere cubano perché gli Usa hanno votato una legge che fa prevalere “l’intento rieducativo” su quello della pena da scontare. L’assassino si rifà una vita, inizia a lavorare nel volontariato, scrive un bel libro che racconta la sua storia criminale, fino a quando un produttore cinematografico più accorto di altri decide di girare un film sulla sua vita.
A meno che Andrea Occhipinti non decida di finanziare Michael Moore, è improbabile che negli Usa vedremo presto un film sul jihadismo dalla "parte dei vinti". L’Italia, invece, è un Paese che non perde tempo a fare i conti con il proprio passato. Qui da noi non solo è passata una legge – la Gozzini – che ha permesso ai terroristi, rossi e neri, di tornare liberi a “occuparsi del sociale”, ma le nostre case editrici e i produttori cinematografici accumulano anche memoriali epico-etico-utopici sulle imprese degli assassini di allora.
In una lunga intervista al Corriere della Sera, autori, regista e attori di prima linea, riescono a glissare ogni volta sulla parola “terrorismo”. Lo chiamano “gruppo armato”, “lotta armata”, “nucleo”, e meno male che a De Maria sfugge un “Segio commise degli atti terroristici”, se no dovremmo accontentarci di Sandro Petraglia, uno degli autori, convinto che “il nostro film resta dentro la storia dei personaggi, scaricando il contesto, la tensione e la sensazione che l’Italia potesse fare in quegli anni la fine del Cile”.
In questo Cile che non era il Cile fu proprio a Segio a commettere atrocità degne di un Pinochet. Dopo essersi indottrinato al marxismo alla statale di Milano, Segio passa all’azione ammazzando i magistrati Emilio Alessandrini (29 gennaio 1978) e Guido Galli (10 marzo 1980). Prima Linea, il “Nucleo di Comunisti” ed i “Combattenti per la Liberazione Proletaria” hanno all’attivo anche l’omicidio dell’agente di custodia Franscesco Rucci (18 settembre 1981) e di un povero e ignaro pensionato – Angelo Furlan. Per i suoi crimini, Segio ha scontato 22 anni di reclusione (la condanna era l’ergastolo). E’ uscito, ha iniziato a “lavorare nel sociale” con il Gruppo Abele, Don Ciotti e la CGIL, scrive, pubblica libri, tiene un blog (“Miccia corta”, che ha ispirato il film), e nel 2003 ha anche vinto il premio per l’impegno sociale “Rosario Livatino”.
Non sorprendetevi, è percorso di riabilitazione bipartisan. Valerio Fioravanti, il “Giusva” del terrorismo nero, colpevole con sentenza passata in giudicato della Strage di Bologna del 2 agosto 1980, si è fatto anche lui 26 anni, e ora è un uomo libero. L’Italia è un Paese fatto così, che sa perdonare e si commuove se due terroristi fanno l’amore davanti al caminetto, tra un esecuzione e l’altra, come insegnano alcune scene del film di De Maria. Il terrorismo in Italia lo abbiamo sconfitto "con le buone" – leggi speciali a parte, ma quello era “il Cile” – e al massimo può scapparci un commento del tipo “Quant’è figo Scamarcio” o “Che bona la Mezzogiorno!”. Ma provate a vedere la storia con gli occhi dei parenti delle vittime del terrorismo, e a identificarvi con loro.