Esiste davvero un “malessere della democrazia”?

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Esiste davvero un “malessere della democrazia”?

06 Ottobre 2011

Il prossimo 7 ottobre mi troverò a discutere di un presunto “malessere della democrazia” con autorevoli colleghi (Pasquino, Ferrara, Parsi e altri): l’occasione è un convegno organizzato a Roma dalla Fondazione Nova Spes, che prende spunto da un fascicolo di “Paradoxa” da me curato.

La fine della Prima Repubblica sotto i colpi di Tangentopoli, la discesa in campo di Silvio Berlusconi, le sfide della globalizzazione, l’onda lunga della ‘morte della patria’ hanno profondamente alterato il panorama culturale e ideologico italiano. Antiche famiglie politiche—dai popolari/democristiani ai socialisti—sono scomparse e ‘scuole di pensiero’ che sembravano resistere al tempo e agli sconvolgimenti storici e sociali del secolo breve hanno chiuso malinconicamente i  loro battenti. La caduta del Muro di Berlino ha fatto perdere ogni credibilità a quanti si richiamavano al marxleninismo come <l’orizzonte insuperabile del nostro tempo> (J.P.Sartre). Sembrava che ormai si dovesse approdare tutti—tutti i reduci delle vecchie battaglie, di destra e di sinistra– nei lidi sicuri, pur se non esaltanti dal punto di vista dei nostalgici dei ‘grandi racconti’, della democrazia liberale e che ci si dovesse rimboccare le maniche affidandosi umilmente al mercato, in economia, e al modello democratico occidentale, in politica. Purtroppo, almeno in Italia, non è stato così. Soprattutto dal fascismo in poi, l’intreccio tra Stato, amministrazione, partiti, da una parte, e mondo imprenditoriale e sindacale, dall’altra, ha creato un ‘blocco sociale’ la cui peculiarità più inquietante è la trasversalità.

Si ha come l’impressione che il confronto politico sia una rappresentazione teatrale ad uso e consumo degli elettori ma che i veri ‘affari’ si svolgano dietro le quinte dove  il ‘consociativismo’, anche nei periodi di più aspro confronto ideologico, è nei fatti prima ancora che nelle coscienze. Ed è qui che svolge un ruolo decisivo l’ideologia italiana, caratterizzata dalla pretesa di pronunciare, a beneficio dell’intera umanità, la parola di salvezza. Se il collettivismo burocratico è naufragato, se le società di mercato sono attraversate da vaste e insanabili crisi, è perché non si è voluto dare ascolto alla nostra saggezza, non si è riflettuto abbastanza sull’italica ‘terza via’,che, nel fascismo, si sostanziava di pulsioni totalitarie mentre nelle varie famiglie dell’antifascismo repubblicano si presentava come sintesi di quanto di meglio avevano lasciato le società travolte dalla guerra: la teorica delle libertà (il lascito duraturo dei paesi anglosassoni)e la giustizia sociale (il generoso ma fallito tentativo messo in atto dai paesi comunisti). L’Italia ,ancora una volta, maestra al mondo di virtù e di buongoverno! L’Italia che non va a scuola di democrazia nelle nazioni che l’hanno praticata e continuano a praticarla da secoli ma che insegna a quelle nazioni quali sono le falle del modello e come porvi rimedio! L’Italia che non rifiuta (a parole) il mercato e le sue regole ma ne mostra gli inconvenienti e   indica come venirne a capo.

 Se mai nella storia si è avuto un caso di ‘falsa coscienza’ comunitaria è proprio il nostro. Si vogliono i diritti di libertà ma il diritto di proprietà e l’habeas corpus non sono previsti nella Costituzione: il primo è subordinato alla ‘funzione sociale’ e il secondo latita al punto tale da consentire la carcerazione preventiva. Si vogliono la democrazia e la sovranità popolare ma solo se garantiscono la vittoria delle ‘forze del progresso’ contro quelle della ‘reazione’ (nell’immaginario collettivo di molti italiani il centro-destra non ha titoli di legittimità per governare il paese risorto dalla dittatura fascista grazie alla Resistenza). Si vuole l’economia di mercato ma, come disse un militante postcomunista al segretario del ribattezzato DS, <mercato, sì, ma che non si venga a parlare di profitto>. Insomma il sogno è sempre quello di una ‘società protetta’: protetta dalle vicissitudini del mercato, protetta dalla ‘tirannia della maggioranza’ ,che poi è quella che porta al governo i partiti di destra, protetta dagli ‘homines novi’ che vorrebbero ri-concordare gli accordi tra i poteri forti alla base del <paese reale>, protetta dalle riforme amministrative che potrebbero minacciare le rendite di posizione dei grands commis d’Etat, spesso candidati nelle liste del centro-sinistra, protetta dal rasoio della razionalizzazione che potrebbe far chiudere tanti enti inutili, togliere fondi ai settori culturali cresciuti all’ombra delle sovvenzioni statali, mettere fine all’assurda proliferazione delle Università.

Per una ironia della storia a difendere questo <piccolo mondo antico> e a dargli coscienza e dignità teorica è, oggettivamente, la classe di intellettuali raccolta attorno a ‘Repubblica’. In nome della democrazia, tale classe svolge una tenace opera di delegittimazione del leader e della coalizione di governo usciti dalle urne; in nome dell’interesse collettivo, acconsente a limitare le ‘libertà civili’ dei cittadini, rendendone custodi e arbitri i pubblici ministeri; in nome della giustizia sociale inceppa il funzionamento corretto del mercato; in nome della trasparenza e della correttezza che si richiedono agli uomini di governo, cancella quelle grandi distinzioni—tra etica e politica, tra diritto e morale, tra religione e scienza—su cui si regge ogni società liberale degna di questo nome.

 Nel fascicolo di ‘Paradoxa’, Quelli che la democrazia…,si sono analizzate talune posizioni dei teorici del <republicanism> all’italiana non per denunciare la collusione dei loro sostenitori con i ‘poteri reali’, che si muovono dietro le quinte del teatrino politico, ma per mostrare gli errori intellettuali iscritti in una concezione della democrazia liberale, intesa come filosofia di diritti moltiplicabili all’infinito piuttosto che come teorica delle libertà. Gli Zagrebelsky, i Salvadori, i Bovero, in realtà, sono il cavallo di Troia della <seconda via>, quella socialcomunista: usano le espressioni di Benjamin Constant e di J. S. Mill per reintrodurre valori e istanze che non hanno nulla a che fare col liberalismo e con <la libertà dei moderni>. Se accettassero di essere semplicemente la sinistra del regime liberaldemocratico non ci sarebbe nulla da obiettare. Ma il fatto è che, presentandosi come i <veri> liberali, fanno qualcosa di più: delegittimano i presunti ‘falsi’ liberali (i Bedeschi, i Panebianco, gli Ostellino) e, in tal modo, mettono a nudo, involontariamente, il coté fascista della <terza via>, una terza via che è tale in quanto denuncia i mali provocati dalla prima e dalla seconda via e promette di guarirli con un bagno di <virtù repubblicane>.