Etsuro Sotoo: l’anima è come un blocco di pietra che va forgiato
16 Ottobre 2011
Uno scultore, la cui opera testimonia in modo esemplare, non soltanto la capacità di trasfigurare persino la pietra in ciò che c´è di più bello nell´uomo e nella sua libertà, ma anche la forza vivificante che in quest´opera di trasfigurazione può venire della fede in Gesù Cristo”. E’ la motivazione con cui la Scuola di Cultura Cattolica di Bassano ha conferito allo scultore Etsuro Sotoo l’edizione 2011 del Premio Internazionale di Cultura Cattolica.
Ogni anno, dalla sua istituzione nel 1983, viene assegnato il Premio ad una figura che ha saputo segnalarsi a livello nazionale od internazionale per il suo contributo alla crescita e diffusione della identità e della cultura cattolica. Illustri personaggi italiani e mondiali hanno avuto l’onore di vedersi riconosciuti questo prestigioso premio, come il cardinale Angelo Scola, ora arcivescovo di Milano; l’ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon; il maestro Riccardo Muti; l’allora cardinale e ora pontefice Joseph Ratzinger; lo scrittore Divo Barsotti; il filosofo Augusto del Noce e tanti altri. “In un tempo in cui sembra che arte e fede si siano come estraniate- si legge nel sito – Sotoo è un artista che assume espressamente la fede come fonte d´ispirazione e ragion d´essere del proprio lavoro, nella convinzione che la bellezza più grande non è mai quella delle nostre opere, ma quella dello spirito che esse manifestano”.
L’artista giapponese, nato a Fukuoka nel 1953 e laureato all’Università di Belle Arti di Kyoto nel 1977, ha iniziato a lavorare a Barcellona come scultore nel tempio della Sagrada Familia, progettata da Antonì Gaudì. Ha realizzato centinaia di sculture per il Tempio e, nel 2000, ha completato, con i "quindici angeli", la Facciata della Natività. Nel 2007, Sotoo racconta in un libro-intervista, il suo rapporto con l´arte, l´esperienza della sua conversione al cattolicesimo e soprattutto il suo tentativo di entrare nello "spirito" di Gaudì, vero punto di riferimento del suo lavoro e della sua conversione. Come si legge nel sito ufficiale della Scuola di Cultura Cattolica, “proprio interrogando la pietra di cui è fatta la Sagrada Familia, Etsuro Sotoo è riuscito a colmare poco a poco, con la fatica a cui si associano le grandi imprese spirituali, la distanza non solo culturale che lo separava dal maestro Gaudì, ed è riuscito a comprendere ciò che stava dietro a quella pietra; se ne è fatto interprete e per molti versi autorevole prosecutore. Come dice lui stesso, "ho compreso che non dovevo guardare Gaudì, ma guardare là dove lui guardava".
Il suo rapporto con la fede e con la pietra, sua principale materiale di lavoro, li ha descritti bene in un incontro del 2007 al meeting di Rimini, dove ha spiegato che “tutta la storia cristiana in realtà è molto riconoscente alle pietre. Le pietre sono vive, noi siamo pietre vive, anche se io prima non lo sapevo. Io cercavo la pietra, non so in realtà il perché di questa attrazione. Posso dirvi che quando ero professore d’arte, andavo a scuola e vidi un blocco di pietra lungo una strada. Uno scalpellino lo lavorava. Gli dissi: ‘Ma io già da molto tempo non lavoro la pietra’. In realtà, mi sembrava che lui mi avesse rubato il blocco di pietra che era mio, che era in qualche modo il mio destino. E pensai: ‘Se dico questa cosa alle persone per strada penseranno che sono pazzo’. Io dico: ‘La pietra mi ha rubato la mia anima’. A quell’epoca pensai questo. Quindi cercai un blocco di pietra e pensai che la mia anima stava dentro il blocco di pietra, e mi accorsi che non avevo un’anima, e per questo avevo bisogno di un blocco di pietra, che è molto duro ma che mi consentiva, con ogni colpo che davo, di tirare fuori il mio sangue. Il blocco di pietra è molto duro, e io cercavo in realtà di trovare la mia anima in questo blocco di pietra, per capire chi ero. Per questo andai alla Sagrada Famiglia”.
Il Premio Internazionale è un’occasione importante per sottolineare l’importanza del rapporto vivo e vero che ci deve essere tra la fede e la cultura, tra la fede e la realtà che viviamo. Come già detto più volte da papa Benedetto XVI l’essere cristiano “è qualcosa di vivo, di moderno, che attraversa, formandola e plasmandola, tutta la modernità”. Oggi viviamo in modo molto stringente il rischio di una schizofrenia tra la fede e la vita, tra il ruolo pubblico e quello privato dei valori religiosi. La cultura è il terreno di incontro, e spesso di scontro, tra le diverse visioni del mondo e della vita. Infatti come scrisse in una lucida e completa sintesi l’allora cardinale Ratzinger, nel suo libro Fede Verità Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, la “cultura è la forma di espressione comunitaria, sviluppatasi storicamente, delle conoscenze e dei giudizi che caratterizzano la vita di una comunità”. La cultura, pertanto, ha anzitutto a che fare con la conoscenza e i valori: è un tentativo di comprendere il mondo e l’esistenza dell’uomo” e quindi “il comprendere dovrebbe indicarci, cioè, come si fa ad essere uomini, ad inserirsi in modo giusto in questo mondo e ad essere felici”. La cultura, perciò, è lo spazio dove ognuno mette in gioco se stesso e la sua visione della vita; permette alla sua “forza interiore” di propagarsi e, in modo direttamente proporzionale, di prendere quella forma sempre più rispondente alla Verità.