Europee, estremismo e astensionismo spaventano popolari e socialisti
25 Maggio 2009
Intervistato da "El Mundo", il presidente dell’europarlamento Hans Gert Poettering ha messo in guardia dagli effetti di una eventuale bassa affluenza al voto delle prossime elezioni europee. “Se la gente non vota il pericolo è che ci siano più partiti estremisti o fuori dalla corrente generale”, ha detto Poettering, che è un popolare, e i popolari (insieme ai socialisti) temono che la percentuale dei cosiddetti rappresentanti “non iscritti” a Strasburgo possa aumentare. Si tratta principalmente di partiti nazionalisti e raggruppamenti che si battono contro il proliferare dell’euroburocrazia, della società multiculturale e dell’immigrazione clandestina.
Il vecchio capopopolo Le Pen scalpita, sognando di festeggiare i suoi 81 anni alla guida del parlamento europeo. Potrebbe davvero ed è per questo che Poettering ha deciso di presiedere la prima sessione della nuova camera, preoccupato dalle affermazioni negazioniste del francese. A Strasburgo ci sono leghisti assidui come Borghezio ma rischiano di arrivare anche piccole e piccolissime formazioni tipo le “liste anti-sioniste” del comico Dieudonné, condannato per incitazione all’odio razziale, che nel 2004 si presentò alle europee con la lista “Euro-Palestina”. Nel mucchio c’è posto per gli estremisti di destra inglesi avvantaggiati dagli scandali che hanno colpito la Gran Bretagna, ma c’è anche spazio per quel partito svedese che si batte contro la censura su Internet.
L’Europa Orientale e i Balcani sono una fucina di questo contraddittorio risveglio identitario, dal partito “Grande Romania” ai nazionalisti sloveni e polacchi. Un blocco che ha fatto della tradizione un’arma politica non contrattabile. In Olanda, il provocatorio Geert Wilders ha saputo condurre il suo partito verso percentuali a due cifre battendosi contro l’islamizzazione del Vecchio Continente. Queste forze si oppongono alla “tirannia delle minoranze” che vedono agire nelle democrazie occidentali.
Secondo alcuni è una spinta radicale che minaccia le istituzioni europee, i palazzi di Bruxelles e anche di Washington. Ma in certi casi è facile dare del razzista, dello xenofobo, dell’antisemita, dell’omofobo, a un partito che magari non lo è. Secondo la rivista “Dissent”, ad esempio, i partiti italiani che hanno dato vita al Pdl hanno rappresentato due modelli di estremismo populista. I redattori di Dissent dovrebbero leggersi cosa dice oggi Fini sui respingimenti.
L’establishment europeo fa bene a prendere posizione contro gli eccessi, gli estremisti, i provocatori, ma non bisogna sottovalutare le origini di questo disagio: c’è un populismo tradizionale che si richiama al suolo e ai propri valori culturali e c’è un nuovo populismo che rimette in discussione il capitalismo selvaggio, la globalizzazione, la libera circolazione dei lavoratori tra le frontiere (in una parola il liberismo). C’è l’Unione Europea come un corpo sovranazionale, con le sue esigenze di integrazione, di allargamento e di governance, ma c’è anche l’Europa degli stati e dei popoli, con le sue “narrazioni emotive” (per dirla con Dissent), fondata sulla propria cultura e identità.
La novità di alcuni di questi movimenti, quelli meno tradizionalisti, è di aver evidenziato le illusioni della società multiculturale, rimettendo al centro dell’azione politica la questione dell’ordine e della sicurezza. La classe media e le classi lavoratrici nazionali chiedono protezione: la soluzione è stata bloccare la nuova immigrazione e spingere i vecchi immigranti verso una graduale integrazione. Se i popolari e i socialdemocratici – che hanno fatto di Strasburgo un’equa diarchia – non sapranno trovare parole d’ordine e simboli altrettanto forti e romantici come quelli offerti dai loro avversari continueranno a perdere voti. E in cabina elettorale lo scontento degli europei diventerà un premio per le forze estremiste o per quelle che estremiste non sono ma si ribellano allo status quo.