Europee, quel passo in avanti che serve a Giorgia Meloni

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Europee, quel passo in avanti che serve a Giorgia Meloni

Europee, quel passo in avanti che serve a Giorgia Meloni

09 Febbraio 2024

Le elezioni europee, che si annunciavano per Giorgia Meloni come una cavalcata vittoriosa, rischiano di porre sul cammino della premier un doppio impiccio: il primo interno, il secondo nei rapporti con le famiglie europee dei Popolari e dei Conservatori.

Sul primo versante, paradossalmente, la premier ha dinanzi a sé il bivio di vincere evitando, però, di stravincere a danno dei partner della coalizione. Sondaggi alla mano, Fdi, soprattutto se Meloni dovesse candidarsi, veleggia verso le colonne d’Ercole del 30%, mentre Lega e Forza Italia stazionano sotto la soglia della doppia cifra. In questo scenario si comprendono le continue “sbandate” verso la destra-destra di Salvini, e i distinguo di Tajani sull’alleanza con i Paesi sovranisti.

Se Fdi dovesse “prosciugare” gli alleati creerebbe forti mal di pancia per Salvini, che vedrebbe una ulteriore caduta della sua leadership anche nel suo campo, e per lo stesso Tajani, che deve consolidare la sua guida di un partito che deve fare i conti con l’eredità berlusconiana. Certo, è facile dire che in tale scenario, Salvini e Tajani non avrebbero una realistica via di uscita, ma non sarebbero da escludere segnali di “vietnamizzazione” della vita parlamentare, a partire dal tema tanto caro alla premier della riforma costituzionale.

Sul fronte estero la premier è chiamata ad un ulteriore passo in avanti. La guerra in Ucraina e in Medio Oriente hanno permesso a Meloni di scrollarsi di dosso residui di un passato in cui quella parte politica era o appariva euroscettica e non guardava con entusiasmo, per usare un eufemismo, verso il fronte occidentale. Stare dalla parte giusta dell’Occidente ha allontanato i sospetti di filo-putinismo. E Meloni è stata brava a cogliere questa opportunità.

Mentre resta ancora scoperto il nervo dei rapporti con i Paesi sovranisti, a partire dall’Ungheria di Orban. Paese – come testimoniato anche dalla vicenda dell’attivista italiana condotta in un’aula processuale con metodi a dir poco medievale – su cui pesa la procedura di infrazione dell’Unione per violazione dei diritti LGBT ed un’altra è stata avviata in questi giorni contro una legge “a tutela della sovranità”.

Meloni, leader indiscussa dei Conservatori europei, la cui figura assume sempre maggiore rilievo sulla stampa internazionale, sarà chiamata, prima o poi (ma sarebbe preferibile farlo prima) a fare i conti con vecchi amici “indigesti”, ma anche a chi bussa alla casa madre dei Conservatori, con un pedigree non proprio immacolato. La platea tra vecchi e nuovi è piuttosto ampia: il partito francese di Zemmour, gli spagnoli di Vox, il partito PIS di Kaczynski, i finlandesi di Finns party, i democratici svedesi, il partito Fidesz di Orban. Tutti gruppi in crescita nei rispettivi Paesi che testimonia quella che il politologo Fukuyama ha definito “recessione democratica”.

Che fare con questo mondo? Nella vita, ancor più in politica, vecchie amicizie si consumano inevitabilmente. Sono ulteriori passi in avanti da compiere per riuscite a continuare sulla strada della collaborazione con l’Unione, già intrapresa sotto la direzione di Ursula Von der Leyen, per avviare e consolidare i rapporti tra Popolari e Conservatori e, soprattutto, per cercare di avere palla in partita per determinare gli orientamenti della Commissione Ue post-voto.

Perché avere il più forte gruppo parlamentare europeo, ma rischiare di essere al di fuori dei giochi, potrebbe rilevarsi una magra consolazione.