Europee senza preferenze. Il Cav. fissa i paletti della legge elettorale
29 Ottobre 2008
Sbarramento al 5 per cento, niente preferenze e “se non sarà possibile fare la riforma non ci strapperemo i capelli”. Silvio Berlusconi scende in campo e fissa i paletti in vista del voto sul ddl per la legge elettorale per le elezioni europee.
Un intervento deciso che se da un lato ha rispedito al mittente la richiesta del presidente Napolitano di “non comprimere il pluralismo” dall’altro manda un messaggio a coloro che nel Pdl sono tentati di far saltare il tavolo: “Se non sarà possibile fare la riforma non ci strapperemo i capelli”.
In realtà il Cavaliere da qualche giorno aveva iniziato ad annusare l’aria intorno al ddl. Strani movimenti tanto nella maggioranza che nell’opposizione lo hanno convinto che sulla legge per le europee bisognerà tenere molto alta l’attenzione senza scartare alcuna ipotesi, anche quella di mettere nel cassetto i sogni di riforma. In realtà quello che ormai anche lo stesso premier ha capito è che sul ddl per le europee troppe partite ed interessi si stanno incrociando, cosa che alla maggioranza potrebbe rendere troppo scivoloso il terreno.
Partite che si giocano contemporaneamente sia nel centrodestra che nel centrosinistra e che alla fine potrebbero portare ad una saldatura di interessi mettendo nell’angolo la maggioranza ma soprattutto proprio lui, Berlusconi. Per questo ieri sera, a chiusura di una prima giornata di psicosi politica collettiva sulla riforma della legge europea, ha voluto mettere il suo sigillo lanciando dei messaggi ben precisi ad alleati ed avversari e già prefigurando una via d’uscita.
Al centro dello scontro c’è il ddl per scegliere il sistema elettorale per le prossime elezioni, che da ieri ha iniziato la discussione generale a Montecitorio. Il testo di riferimento licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali con il solo voto di Pdl e Lega prevede sia lo sbarramento al 5 per cento che l’abolizione delle preferenze. Soluzioni che secondo il Cavaliere permettono di andare “in Europa con gente altamente qualificata” garantendo “un sistema politico pulito, trasparente e limpido”.
Ma sia nella maggioranza che nell’opposizione non tutti la pensano allo stesso modo. In particolare dalle parti del Pd dove la pressione delle correnti si sta facendo sentire sempre di più, mettendo nuovamente in minoranza Veltroni. Non è un mistero infatti che all’ex sindaco di Roma una legge come quella uscita dalla Commissione starebbe bene. Lo sbarramento al 5 per cento unito alla possibilità di stilare in proprio la lista elettorale consentirebbe in un sol colpo a Veltroni di evitare il pericolo frammentazione a sinistra e di costruirsi una delegazione di persone fidate a Strasburgo. Un affare, per il leader democratico, che così riuscirebbe anche a raggiungere quota 30 per cento dei consensi che lui stesso considera essenziale per la sua sopravvivenza politica. Ecco perché le varie correnti nel Pd hanno iniziato a muoversi; in particolare Massimo D’Alema sarebbe tra quelli più attivi tanto che ieri è tornato ad attaccare la maggioranza parlando di “atteggiamento gravemente antidemocratico”. Il suo obiettivo non è tanto quello di scalzare Veltroni, alla cui poltrona il lider maximo non sembra per il momento puntare, ma piuttosto di evitare che una legge con uno sbarramento così alto possa tagliare fuori sia l’Udc sia la sinistra radicale.
Due soggetti a cui D’Alema guarda con grandissima attenzione dal giorno dopo il risultato elettorale convinto che soltanto riportando in vita il progetto di un centrosinistra allargato il Pd potrà avere speranze di vittoria. Naturale che quindi a largo del Nazareno sia iniziato un braccio di ferro per chiudere in un angolo Veltroni (e visto quanto accaduto sulla Vigilanza le probabilità che la strategia di accerchiamento ed isolamento riesca sono molto alte). Se poi interviene anche il Capo dello Stato in questo senso è chiaro che i margini per l’ex sindaco si restringono.
Ieri infatti Napolitano senza giri di parole ha bocciato l’ipotesi di riforma uscita dalla Commissione ammonendo sulla necessità “di stabilire un più diretto legame tra gli eletti e i territori rappresentati, e di garantire un effettivo intervento dei cittadini-elettori nella scelta dei loro rappresentanti”. In pratica una bocciatura della legge che si lega all’altra osservazione fatta sempre ieri dal presidente della Repubblica: “Quando si tratti di modificare regole tra le più importanti della competizione democratica quali sono quelle dei sistemi elettorali sia da ricercarsi un ampio consenso in Parlamento”. Parole che fanno prefigurare uno scenario in cui a legge approvata con il solo voto della maggioranza questa possa essere respinta e riportata in Aula. Chiaro come tutto questo favorisca le iniziative delle varie correnti anti-veltroniane.
Ma non è solo nel Pd che le acque sono agitate. Anche nel centrodestra si registrano continui movimenti. In questo caso almeno due che sembrano andare nella stessa direzione: la presentazione di un emendamento firmato da una cinquantina di deputati tra cui molti di An, in prima fila Landolfi, Moffa e Poli Bortone e che prevede il ritorno al sistema della doppia preferenza; e la disponibilità del presidente della Camera Fini di concedere lo scrutinio segreto sulla questione delle preferenze. In realtà sulla prima questione, che avrebbe la benedizione di Fini stesso, si ripresenta di nuovo il problema della tenuta del malcontento all’interno del gruppo del Pdl alla Camera, una situazione che ormai si trascina dall’inizio della legislatura ma che adesso sembra aver assunto dimensioni di attenzione. Le voci parlano di quasi una cinquantina di deputati pronti a votare l’emendamento, il che quindi renderebbe altamente improbabile che la maggioranza possa tenere alla prova del voto soprattutto se questo dovesse essere segreto. Un problema di non poco conto che quindi potrebbe condurre il governo e lo stesso Berlusconi verso un brutto scivolone. Ecco allora la circospezione del Cavaliere e il suo “non ci strapperemo i capelli” che fa intendere di essere disponibile ad evitare il braccio di ferro in Aula.
Disponibilità ma forse anche una minaccia velata per Veltroni e per lo stesso Fini verso cui il premier da tempo coverebbe un certa irritazione. Un piccolo malumore che sarebbe partito sabato scorso, quando il presidente della Camera inviò un suo messaggio a conclusione della manifestazione del Pd. Un atto giudicato dal Cavaliere poco opportuno e che lo averbbe convinto del fatto che l’ex leader di An stia seguendo una sua strategia politica (corre voce infatti che Fini stia guardando sempre con più insistenza al Quirinale). Da qui le sue aperture a sinistra, da ultima la disponibilità verso il voto segreto sul ddl europee, accreditandosi così come uomo del dialogo. Un progetto che passa naturalmente per il ridimensionamento dello stesso Berlusconi ad uomo dello scontro. Da qui le dichiarazioni di ieri sera (il ritorno al proporzionale ridarà fiato ai partiti minori e quindi alla sinistra radicale ed allo stesso Storace).
Un dato comunque è certo fin da ora: siamo solo all’inizio della partita ma Berlusconi non ha alcuna voglia di farsi mettere in un angolo. E per evitare questo è pronto a far saltare il tavolo prima che lo facciano altri.