Evviva, con Bersani è tornato il Pci! (O almeno ce l’auguriamo)
26 Ottobre 2009
Evviva! È tornato il Pci. O almeno ce l’auguriamo. Con l’elezione di Bersani a segretario la sinistra italiana fa un passo indietro, un bel passo, lungo almeno 15 anni, per mordere di nuovo le sue radici e ritrovare un’identità che tentativi sconclusionati di mascheramento, da Occhetto a Franceschini, via Prodi e Veltroni, le avevano fatto perdere.
Con Bersani la sinistra ritrova i suoi legami naturali col mondo della produzione – la Lega delle Coop da una parte, la Cgil dall’altra – e può finalmente sperare di spezzare quelle antiche cinghie di trasmissione traformatesi, nel corso di anni vissuti senza una visione del futuro e senza neppure una percezione del presente, in catene che intralciano e bloccano il passo della politica. Con Bersani la sinistra riparte dall’Emilia, l’unica regione dove il comunismo italiano ha dato prova di buona amministrazione e di esercizio severo, per quanto sfrontato, del potere (una regione che accanto e all’ombra del colosso delle cooperative ha visto fiorire una florida piccola e meda impresa, e che ha condotto in modo imperiale la colonizzazione delle altre terre rosse del centro, a cominciare dalla Toscana).
E con Bersani la sinistra riparte dalla questione sociale, dal lavoro e dall’impresa, da cui solo può riavviarsi il suo motore, con una credibilità che può permettere al nuovo segretario di sfidare la destra su un terreno un tempo suo e sul quale invece il berlusconismo ha vinto la partita decisiva – ma dove ora soffre dell’incapacità, o dell’impossibilità, di completare le grandi trasformazioni avviate.
E’ il ritorno al Pci, e quindi alla possibilità di superarlo, nell’unico modo politicamente possibile, facendo i conti con la propria storia per costruirsene un’altra, a partire da quella. Come ha fatto, nei confini dell’avventura individuale che la storia gli consentito, Napolitano, né più né meno, senza abiure e ammiccamenti.
Non sarà facile per Bersani agire in una dimensione collettiva tanto deteriorata e frustrata. Ma perché vietarci un po’ di entusiasmo e di ottimismo almeno oggi, dopo i tre milioni di pazienti elettori in coda sotto lo sguardo severo di prime pagine piene delle disavventure politiche, prima che sessuali, del governatore p-democratico della più importante regione d’Italia, dopo che la saggezza di questi tre milioni di nostri connazionali ha confermato il giudizio di primo grado espresso dagli iscritti del Pd evitando di gettare con un voto diverso il partito nell’anarchia e nel vortice delle scissioni, come meno sagge regole statutarie avrebbero pure consentito?
Con Bersani non avremo un segretario che non è mai stato comunista, o che vuole un vicesegretario nero perché è nero e uno donna perché è donna. Con lui ritrova casa l’unico leader comunista sopravvissuto alle catastrofi dell’opposizione e persino alle proprie (vera prova di carisma), D’Alema, e scenderanno dai palchi attori comici e registi tristi, e nello scontro fra Repubblica e Corriere Bersani siederà giustamente dalla parte del Corriere, e il Corriere ovviamente dalla parte di Bersani, e Repubblica friggerà e rifriggerà ancora per poco le sue dieci domande fra gli sberleffi di Natalì e di Brenda. E Di Pietro perderà spazio nei Tg e nei serial killeraggi della tv di stato, e l’opposizione ci proverà davvero a farsi governo di se stessa e quindi, in prospettiva, del paese.
Dovremmo lamentarcene noi che ad ogni battito d’ali della maggioranza inseguiamo la farfalla del ’94? Ma per carità. Non è mai vero che un cattivo governo produce una cattiva opposizione, ma è vero che una buona opposizione aiuta il governo a fare meglio, e a disseppellire le monete d’oro che gli sono state affidate.