Extreme reality, dove tutto è possibile senza esclusione di colpi

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Extreme reality, dove tutto è possibile senza esclusione di colpi

06 Febbraio 2009

Signora mia, dove andremo a finire? Alzi la mano chi non se l’è domandato almeno una volta, di fronte agli annunci dell’invasione di reality show sempre più eccentrici, sempre più estremi, sempre più spiazzanti. La risposta a questa domanda arriva ora da un film, in uscita il prossimo 6 marzo nelle sale italiane: “Live – ascolti record al primo colpo” è la storia di una produttrice senza scrupoli (Eva Mendes) che, pur di alzare l’audience, trasforma in un reality il macabro gioco della roulette russa. Più che di uscire da una casa, i protagonisti rischiano insomma di andarsene al creatore, il tutto rigorosamente in diretta televisiva e con il pubblico televisivo in visibilio.

Un’esagerazione? Forse no. L’anno di uscita del film in lingua originale, il 2007, è lo stesso in cui sui teleschermi di mezzo mondo si sono susseguiti spettacoli-realtà a dir poco estremi, decisamente sprezzanti non solo del politically correct, ma dello stesso buon gusto e buon senso. Basta guardare all’Olanda, la patria del reality: nella quale due anni fa tre concorrenti si sono contesi in uno show la donazione di un rene, messo a disposizione da una malata terminale di cancro. Ancora in Olanda, e sempre nel 2007, è andato in onda “Amore a seconda vista”, in cui i protagonisti erano persone visibilmente sfigurate, alla ricerca dell’anima gemella. E che dire dello show in cui una lesbica e una etero single si contendevano un donatore di sperma “ideale” per concepire un bambino? Ma già qualche anno prima ne erano successe di tutti i colori, e non solo in Europa: in epoca post-Truman Show, negli USA si era passati da “Il piccolo sposo”, un cui un nano veniva conteso tra dodici aspiranti mogli, a “Who’s your daddy”, in cui otto uomini tentavano di convincere la madre di un figlio adottivo di essere il vero padre, fino a “Miracle workers”, in cui una equipe di medici specializzati tentava di curare o almeno ridonare speranza a malati gravissimi o che non potevano permettersi le cure. Roba che, al confronto, gli aspiranti suicidi di “Live” fanno una magra figura.

E da noi? In Italia i reality estremi non hanno fatto breccia: per il nostro pubblico è sembrato già tanto lasciar penetrare le telecamere nel cuore della famiglia, come in “Sos tata” o “Cambio moglie” (che pure non hanno mancato di suscitare critiche). Il massimo della trasgressione che ci siamo concessi è stato il coinvolgimento di transessuali, ex-rapiti, o non vedenti, rinchiusi nelle varie “case” a farsi riprendere dalle telecamere 24 ore su 24. La storia narrata da “Live” sortirà perciò un effetto del tutto differente sugli italiani rispetto a quello sortito in America, dove una vicenda simile, per quanto scioccante, suona meno inverosimile. Forse tanto varrà a renderci ancora più guardinghi nei confronti della TV, esclamando “signora mia”; o forse, semplicemente, ci accorgeremo di essere più saggi di altri – e con noi la nostra televisione, pure tanto criticata, che ha dimostrato negli anni di sapere quando è il momento di fermarsi.