F-35, se gli hacker cinesi beffano il Pentagono
01 Maggio 2009
Nei prossimi dieci anni costituirà la spina dorsale delle forze aeree della Nato e di altri paesi filo-occidentali ma le sue tecnologie avveniristiche potrebbero essere cadute almeno in parte in mano ai cinesi. Alcuni hackers sono riusciti infatti a violare la sicurezza informatica del Pentagono e a rubare alcuni segreti del cacciabombardieri F-35 Lightning 2 noto anche come Joint Strike Fighter. Un programma che vedrà costruire negli Usa ma anche in Europa oltre 3.000 jet destinati a rimpiazzare quelli in servizio nelle aeronautiche e nelle forze aeronavali dell’Alleanza Atlantica: Usaf e Marines, Raf e Royal Navy britanniche ma anche Olanda, Turchia, Canada, Norvegia e Danimarca oltre a Israele e Australia.
Le forze italiane acquisteranno 130 esemplari fra il 2014 ed il 2025 per rimpiazzare gli Amx e una parte dei Tornado dell’Aeronautica Militare, nonché gli AV-8B Plus a decollo verticale della Marina Militare con un forte coinvolgimento di 20 aziende nazionali, in parte del gruppo Finmeccanica.
Secondo il Wall Street Journal i pirati informatici sono riusciti a penetrare nella banca dati del Pentagono “scaricando” molti terabyte (migliaia di gigabyte) di dati relativi al design dei sistemi elettronici dell’aereo, rendendo potenzialmente più facile elaborare contromisure e difese contro gli F-35. I dati più sensibili, inclusi quelli relativi alla tecnologia “stealth” che rende il velivolo difficilmente rilevabile dai radar, sarebbero rimasti inviolati perchè contenuti in banche dati non collegate in rete e qui di inaccessibili via web. Il <a href=”http://www.defenselink.mil”>Pentagono</a> ha però smentito la notizia confermando che l’attacco c’è stato ma i pirati informatici non sono riusciti a rubare nulla. “Non sono informato di alcun tipo di preoccupazione (sul furto)”, ha spiegato il portavoce della Difesa Bryan Whitman. Sulla stessa linea Lockheed-Martin, azienda che ha sviluppato e produce l’F-35, secondo la quale “l’articolo del Wall Street Journal è impreciso nella sua descrizione del successo del cyber-attacco” come ha spiegato Bruce Tanner, portavoce della società. Tanner ha aggiunto che i tentativi di violare i sistemi della Lockheed e del Pentagono “sono continui” ma esistono sistemi “perfettamente in grado di individuarli e bloccarli”. Negli ultimi mesi, secondo fonti sentite dal quotidiano, vi sono state numerose violazioni del sistema informatico del Pentagono e di altre agenzie e aziende private statunitensi. Non è chiara l’identità degli hackers ma fonti militari USA sostengono che tali attacchi informatici vengono dalla Cina.
Una pressante forma di spionaggio in corso da anni ma intensificatasi negli ultimi sei mesi con il Pentagono ha accusato la Cina di “supplire con la guerra informatica alle carenze nello sviluppo degli armamenti convenzionali”. Il ministero degli esteri di Pechino ha reagito con sdegno assicurando di essere impegnato “contro ogni forma di cyber-crimine” e denunciato le accuse americane come “frutto di una mentalità da guerra fredda” anche se tutti gli analisti hanno confermato il potenziamento degli investimenti cinesi nel settore della guerra informatica della quale avrebbe fatto le spese anche Taiwan che ha già subito massicci cyber-attacchi da virus provenienti da Pechino. Anche Russia e India stanno investendo molto sull’impiego della tecnologia informatica per penetrare o paralizzare le reti degli avversari e in particolare delle potenze occidentali ormai orientate su un impiego “net-centrico” della forza militare che, in quanto tale, risulta vulnerabile ai cyber attacchi.
Per difendersi gli Usa hanno costituito il Joint Functional Component Command for Network Warfare, un team di esperti informatici provenienti dalle agenzie di difesa e sicurezza che dipende dallo Strategic Command. Il Pentagono negli ultimi sei mesi ha speso 100 milioni di dollari per riparare i danni provocati dai cyber attacchi mentre La Casa Bianca potrebbe aumentare il budget ereditato da George W. Bush da 17 miliardi di dollari annui per la difesa dagli attacchi informatici.
Per addestrare i tecnici militari contro queste minacce la Nato ha istituito il Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence
composto da 30 esperti con ha sede a Tallin, in Estonia dove nel maggio 2007 tutte le reti informatiche del Paese vennero paralizzate da un attacco di virus lanciato probabilmente dalla Russia.
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