F35, trovata l’intesa. Mauro: “Per amare la pace, armare la pace”
26 Giugno 2013
"Per amare la pace bisogna armare la pace", il ministro Mario Mauro sintetizza così il voto con cui la maggioranza non dà forfait sugli F35. L’Italia manterrà gli impegni ma il Governo a sua volta promette di non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito", dice la mozione approvata da Pd Pdl e Scelta Civica.
No di Sel, dei 5 Stelle, che si danno alla propaganda pacifista in aula mostrando foto di guerra, e no di un manipolo Democrats guidato dal solito Civati. Mauro spiega che l’acquisto degli aerei serve a modernizzare la nostra aviazione militare, "non risponde all’ottica di una esibizione muscolare" spiegazione inutile per chi crede che dovremmo dismettere arsenali bellici e missioni all’estero in cambio non si capisce bene di che se non di un indebolimento a livello internazionale.
Tra i più puri si staglia il deputato 5 Stelle Alessandro Di Battista che spara sui piddini che "votano una mozione che è una vera supercazzola, nascondendo la testa sotto la sabbia perché collusi con il governo dell’inciucio perenne", che non si capisce bene cosa c’entri al di là delle politichette con la nostra politica di Difesa, molto più seria dei "concitaboli" parlamentari. Da registrare anche la divisione tra pentastellati e vendoliani con il capogruppo Migliore che spiega "noi siamo per l’opposizione incoraggiante, non scoraggiante", i toni dei cittadini come al solito non piacciono. Detto questo, è il risultato migliore che la strana maggioranza poteva sperare di portare e casa. Risultato che probabilmente non sarebbe mai stato ottenuto se oggi al Governo ci fossero i Bersani e i Vendola.
Sulla vicenda degli F35 molto si è detto e scritto, soprattutto spacciando come verità assoluta il presunto grande risparmio che si sarebbe potuto ottenere interrompendo il programma. Su questo punto, vale la pena ripubblicare integralmente (o quasi) il commento di un lettore, anonino, dell’Occidentale che sembra aver inquadrato bene la questione: "L’assunto di fondo era quello di rinunciare ai 2,5 miliardi di euro già investiti nello sviluppo per risparmiare i 13 necessari alla produzione. L’argomento non è nuovo e rimbalza da tempo su internet, trovando eco in diverse posizioni politiche. È un punto di vista lecito ma sbagliato, per motivi aritmetici, industriali e operativi che nel servizio televisivo non hanno trovato spazio. Proviamo a passarli in rassegna, partendo dall’aritmetica. Il risparmio che non c’è".
"Diversamente da quanto potrebbe sembrare, cancellare il JSF non si tradurrebbe in un risparmio di 10,5 miliardi. Sulla "Cavour" i JSF dovranno andarci comunque, per il semplice motivo che la portaerei che la Marina insegue da oltre 75 anni è troppo piccola per ospitare aerei a decollo convenzionale e che nel mondo non esistono altri aerei da combattimento a decollo verticale. Se l’Italia uscisse dal programma industriale dovrebbe comunque spendere 2-2,5 miliardi per sostituire gli attuali AV-8B Harrier II+. L’Aeronautica ha in teoria più scelta, ma quando si tratterà di sostituire gli AMX – presto – e i Tornado – tra una decina d’anni – avrà comunque bisogno di un centinaio di macchine. Per avere una linea unica dovrebbe scegliere l’Eurofighter, il cui costo non è certo inferiore al JSF: ecco altri 10-11 miliardi. Sorpresa: 12-13,5 miliardi da spendere comunque".
"Passiamo al lato industriale. Uscendo dal JSF scomparirebbero i contratti più importanti, a partire dai cassoni alari di competenza Alenia Aeronautica (da ieri Alenia Aermacchi) che di questo programma ha fatto non più tardi di due mesi fa un punto chiave per l’intera attività militare che fa capo a Torino. Bene: quel lavoro sparirebbe e la ripartenza di Alenia sarebbe ancora più difficile. A compensarlo potrebbero non bastare eventuali Eurofighter in più, perché la quota italiana della cellula è di circa il 20%. Finmeccanica ha un ruolo molto maggiore nella parte elettronica, in particolare il radar, ma molto di questo lavoro avviene negli stabilimenti inglesi. Se per il JSF si è lamentato che «la manutenzione non sarebbe tutta in Italia», anche qui c’è da andare con i piedi di piombo. Restare fuori dal JSF avrebbe un immediato impatto occupazionale ed in poco tempo porterebbe ad un drastico ridimensionamento dell’industria aeronautica, magari per vederla acquistare dai concorrenti (sì, concorrenti) franco-tedeschi.
"E arriviamo agli aspetti operativi. Gli scenari operativi sono oggi fatti di coalizioni alle quali ciascun fornisce quantità di mezzi che – per la loro efficacia crescente, ma anche per il loro costo – sono sempre minori. In questo quadro è già un problema scegliere un sistema che, per quanto prestante, non sia allo standard della propria alleanza. Bene: non c’è dubbio che il JSF sarà l’aereo degli Stati Uniti e di molti loro alleati, dal Regno Unito che è "socio fondatore" del programma al Giappone che è salito a bordo proprio in questi giorni. Né si può pensare di andare avanti per sempre con il Tornado. L’aereo è stato un grande successo, ed ha operato con efficacia anche sulla Libia. Ma è stato concepito nel 1968, volato nel 1974 ed entrato in servizio in Italia nel 1982: esattamente 30 anni fa. (Tra l’altro i costi di manutenzione crescono con l’età dei mezzi, anche per la difficoltà di reperire componenti oramai fuori produzione da decenni)".
"Rinunciare ad un successore – fosse pure un Eurofighter – comporterebbe una inesorabile perdita di capacità e, in definitiva, un declassamento delle forze armate e – in diretta conseguenza – della nazione che rappresentano brillantemente nei più difficili contesti operativi. Tutto questo non vuol dire, naturalmente, che l’F-35 sia perfetto e che il programma non abbia la sua dose di problemi. Ma sono problemi dovuti al salto tecnologico in sé, alla discutibile moda della "concurrency" (da cui non sono esenti neppure i programmi civili) o sono unici al JSF? La lista dei programmi con ritardi, degli extra costi e dei problemi è molto lunga ed ha toccato da vicino persino dei banali quadrimotori da trasporto: il JSF è in ottima compagnia … Il precedente F-104 Dietro la scelta di prendere o non prendere il JSF c’è tutto questo. Senza dimenticare la responsabilità morale di chi tra qualche anno dovrà mandare in operazioni reali – quelle che si scrivono in rosso, nelle quali "gli altri" sparano addosso – uomini e donne con equipaggiamenti non all’altezza della situazione e degli alleati".
"Magari, facendo gli scongiuri, per dover poi spiegare di averlo fatto spendendo di più per una soluzione rabberciata a servizio di qualche impuntatura ideologica o di una visione più da ragioniere che da economista. È un discorso lungo e non vogliamo abusare ancora della pazienza dei lettori. Per spiegare a Mentana quanto sia errato ridurre la questione ad una di "risparmio" dovrebbero però bastare poche date. Per "risparmiare", nel 1975 l’Italia non aderì al "contratto del secolo", come fu battezzata la scelta del caccia americano F-16 per sostituire gli obsoleti F-104 Starfighter, dei quali acquistò nel 1976 altri 40 esemplari".
"Negli anni successivi furono necessari due programmi di ammodernamento (ASA e ASA-M), comunque insufficienti a mettere lo Starfighter in grado di difendere i cieli italiani durante l’emergenza nei Balcani, comprese le operazioni in Bosnia e Kosovo (1994-1999). Di fronte ai ripetuti ritardi dell’Eurofighter fu necessario l’oneroso noleggio dei Tornado ADV (1995-2004), seguito da quello… degli F-16, dei quali il primo arrivato nel 2003 e l’ultimo destinato a partire nel 2012. Un bel risparmio davvero, che speriamo di non dover ripetere. Per l’efficienza delle forze armate, ma anche per le casse dello Stato".