Fabrizio Gifuni non mangia mica i bambini

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Fabrizio Gifuni non mangia mica i bambini

21 Giugno 2010

Si sono scandalizzati assai i giovanotti mondani del Pd sentendo l’attore Fabrizio Gifuni che, dal palco del Palalottomatica di Roma, esordiva con un “cari compagni e care compagne” d’antan. E loro, i signorini che ormai inorridiscono al solo pensiero della porchetta da azzannare alle Feste dell’Unità, hanno preso subito carta e penna scrivendo una lettera sdegnata al segretario Bersani, con la richiesta di abolire parolacce del genere dal vocabolario del partito, neanche Gifuni fosse lo spettro di Breznev. E si potrebbe anche capirli, ‘sti ragazzetti, che si muovono come i loro coetanei di destra in uno spaventoso vuoto post-ideologico dove la memoria storica è soltanto un optional.

Abbiamo invece dei forti dubbi nel comprendere i loro fratelli maggiori, deputati e onorevoli freschi di nomina, che hanno preso la palla al balzo criticando anche loro Bersani per aver dato la parola a Gifuni: l’attore, per i moderati del Pd, avrebbe spaventato i ceti medi e produttivi, nerbo di quel partito tanto vagheggiato ma che ancora non riesce a fare breccia in certi ambiti serbatoi elettorali. Ora, è vero che nel suo intervento – peraltro applauditissimo – Gifuni ha usato toni al limite dell’apocalittico, come quando ha spiegato di "avere paura di vivere in questo Paese perché sono tempi bui, opachi, molto pericolosi, perché il genocidio culturale di cui parlava Pasolini è compiuto". Ma genocidi a parte, fa un po’ specie sentire i suoi critici – i Ceccanti piuttosto che le Serracchiani – lamentarsi del fatto che l’attore utilizzi parole d’ordine vecchie e senza appeal, mentre servirebbero "simboli nuovi" per andare avanti. Il partito democratico ormai esiste già da quattro anni e di questi simboli del cambiamento non è che ne abbia prodotti un granché, a parte una iniziale riverniciata del suo pantheon culturale.

Nel frattempo vogliamo difenderlo noi Gifuni: perché almeno ha avuto il coraggio di richiamarsi a una identità, sconfitta quanto si vuole dalla Storia, ma che ancora fa battere il cuore a qualcuno. Il mito del nuovismo fine a se stesso, invece, non produce altro che bubbole elettorali oltre che culturali. Che poi, a dispetto di quello che dice Giorgio Merlo ("I Gifuni di turno disegnano solo un ruolo di eterna opposizione"), sembra vero esattamente l’opposto: in questi anni la sinistra è riuscita a capitalizzare qualche vittoria solo quando è stata in grado di rielaborare con originalità la sua storia, com’è accaduto con Nichi Vendola, uno che si dichiara fieramente comunista senza terrorizzare la confindustria locale anzi vincendo le elezioni. Per cui, al Pd converrebbe seguire un adagio vecchio come il mondo: “parla come mangi”. In fondo, anche Saragat si rivolgeva ai suoi chiamandoli compagni… E certo non mangiava i bambini.