Facciamo così, chi erano le spie russe ve lo dico la prossima volta
08 Gennaio 2017
Chi sono i russi che avrebbero passato a WikiLeaks le informazioni sul partito democratico americano in grado di ‘alterare’ la campagna elettorale, propiziando la vittoria di Trump e la sconfitta della Clinton? Adesso che ha denunciato le intromissioni di Putin nel voto Usa, lasciando intendere che Donald Trump è un pupazzo di Vlad e di Julian Assange, non è che il presidente Obama può andarsene così, uscendo di scena come se niente fosse. Almeno un nome, uno, deve farlo, visto che sui media e durante l’audizione del capo delle intelligence in commissione al Congresso degli Stati Uniti i nomi delle spie non sono saltati fuori.
“Nella nostra scuola di servizi segreti vi avrebbero bacchettato per tale negligenza”, scrive sorniona la direttrice della agenzia di stampa russa Ria Novosti, mentre mr. McAfee, quello degli antivirus famosi in tutto il mondo, dice testuale “non sono stati i russi”. Per cui ha buon gioco Trump a rovesciare la palla in campo democratico, chiedendo come diavolo sia stato possibile che un partito così moderno, e così twittarolo, come quello democratico, si sia fatto bucare tanto facilmente gli archivi informatici, “ci sarebbe riuscito anche un ragazzino di 14 anni”, ha spiegato Julian Assange, che qualche esperienza nel ramo ce l’ha.
Tuttavia ammettiamo che quelle intromissioni ci siano state: di cosa si parlava nei “leaks”, le rivelazioni del sito di Assange? Di come i vertici clintoniani del partito democratico, d’accordo con il proprio comitato elettorale, abbiamo sparlato e brigato per fare le scarpe al socialista Bernie Sanders, il rivale di Hillary alle primarie. Non robetta, quando uscirono le rivelazioni la presidentessa del comitato democratico fu costretta a dimettersi. Per scacciare questi brutti ricordi, adesso i democratici dicono che WikiLeaks non avrebbe riservato lo stesso trattamento ai due grandi partiti americani durante le elezioni, lasciando in pace i Repubblicani.
Ma non è chiaro neanche stavolta cosa avrebbe dovuto divulgare WikiLeaks sul conto dei Repubblicani per fregarli, visto che dalla primarie fino al giorno delle elezioni il partito di Trump è stato unito, compatto quanto isterico proprio contro Trump. “Ho già abbastanza problemi nel mondo senza doverne aggiungere altri”, ha detto oggi il Don chiudendo la questione hacker. “Quando sarò presidente, la Russia ci rispetterà più di quanto faccia ora”. E adesso prendiamo pop corn e Coca Cola e prepariamoci ad ascoltare l’ultimo discorso di Obama. Il primo da capo della opposizione a Trump. Un altro “New Beginning”, probabilmente, un’altra primavera Usa. Augurando al presidente uscente che non finisca come quelle arabe.