Fake News: Bruxelles e Facebook vogliono un mondo meno libero
06 Aprile 2017
La Germania è pronta a misure draconiane contro le “fake news”, le notizie bufala su Internet. E se lo fa la Merkel, l’Europa, sicuro, si allinea. Berlino ha già stilato un codice di condotta per Facebook, Twitter e YouTube, dove tra le altre cose si invita i social media a cancellare in 24 ore i discorsi dell’odio – hate speech – e non meglio specificati “contenuti criminali” (?!) dalle proprie piattaforme, pena una multa salata. Scrivere che l’accordo tra la Merkel, cioè tra l’Europa e il tiranno di Ankara, Erdogan, è una marchetta da miliardi di euro che ha sancito il fallimento della politica sulla immigrazione della cancelliera tedesca in Germania diventerà un “contenuto criminale”? In attesa di capirlo la Ue si adegua e impegna i propri organi istituzionali in una orwelliana discussione su cosa è fake o non lo è, su come fermare la carica delle bufale e redarguire Facebook e company rispetto a ciò che si deve o non si deve dire. Mentre tanti Paesi del continente languiscono tra crisi economica e disoccupazione, mentre il terrorismo islamico insanguina le città europee, e mentre l’accordo con Erdogan non ha tolto certo le castagne dal fuoco a Bruxelles sulla gestione dei flussi migratori clandestini, e ancora, mentre il popolo del web si ribella e vota Brexit, e vota Trump, e vota No al referendum renziano, in cosa pensate si dilettino a Bruxelles?
Di come mettere il bavaglio a Facebook, attacca Matteo Salvini, che intervenendo in aula ne ha cantate di cotte e di crude ai nuovi censori della Ue. Salvini può stare simpatico o antipatico, si può essere o non essere d’accordo con lui, ma la denuncia fatta dal leader leghista sullo spaesamento delle classi dirigenti europee davanti a un insieme di paradigmi storici, sociali e culturali che stanno saltando uno alla volta, e la reazione conseguente di tappare la bocca agli internauti, cioè a tutti quelli che non si fidano più della stampa e hanno ‘disintermediato’ l’informazione (snobbando tv e giornaloni), tutto questo, non può essere sottovalutato: dici fake news ma stai parlando della libertà di informazione.In ogni caso anche Salvini, pur affermando un principio giusto, scivola nel finale quando dice viva la libertà, viva Facebook. No. No viva Facebook. Perché oggi ci muoviamo in un “matrix” dove i padroni del web, le grandi corporation, non sono innocenti bensì complici del nuovo ordine delle notizie online. Big Web partecipa, per necessità (il timore delle multe) ma soprattutto ideologicamente (il politicamente corretto piace ai colossi di Internet), alla caccia alle streghe, cioè alle fake news vere o presunte tali, preparando un bollino sulla veridicità delle notizie diffuse sul social media, magari facendo scendere in basso nella bacheca degli utenti quelle storie considerate fandonie.
A deciderlo, come spiegano al festival del giornalismo di Perugia, saranno proprio i Signori di Internet, con Aine Kerr, “manager global journalism partnerships” di Facebook – mai carica fu più altisonante – mandato in avanscoperta da Zuckerberg in Italia a dire che “non vogliamo che la nostra piattaforma pubblichi informazioni false perché questo va contro il nostro spirito, non vogliamo contenuti che ci danneggiano”. E chi si occuperà di trovare delle soluzioni “creative e innovative” per bloccare il fake? Una coalizione di media, siti di “fact checking”, tutto uno stuolo di controllori che però non si capisce sulla base di quali criteri siano stati promossi a questa attività così delicata, perché li si consideri fonti affidabili e “oggettive”, quella oggettività che per decenni è stato il mantra dei corsi di giornalismo e si è visto com’è finita, con gli esperti del settore che non ne hanno azzeccata una, quando invece bastava scrollare Drudge Report o immergersi nel flusso di 4chan o 9gag per capire che Trump stava per vincere le elezioni negli Usa. Insomma chi comanda, dentro Facebook, per non dire di Twitter e YouTube, col cavolo che non è schierato, tant’è è vero che circola da mesi la notizia di una possibile discesa in campo del numero uno di Facebook alle prossime presidenziali Usa.
Non illudiamoci però che Zuckerberg, il ragazzetto che voleva far colpo sulle sue colleghe all’università creando un acquario che l’ha reso miliardario, sia nostro compagno di strada nella battaglia per la libertà su Internet. Big Web è collaterale al potere costituito, ne è anzi una delle espressioni più attuali con la sua capacità di controllarci, “profilare” i nostri comportamenti e stili di vita a fini promozionali, farci lavorare gratis, se così si può dire, visto che quotidianamente regaliamo pezzi della nostra creatività a una azienda privata che incassa senza redistribuire alcun valore, se non miliardi di “mi piace” o “condivisioni”. Viva la libertà del web, dunque, viva il popolo di Internet che si ribella, ma attenzione a non confondere i padroni con i liberatori, anche perché fuori dai recinti controllati di Google e Facebook c’è tutta una Rete inesplorata, tante isole che non sono state risucchiate dal grande capitale monopolista nell’epoca della sua forma transmediale, ed è qui, in questi luoghi meno frequentati, zone temporaneamente autonome, per usare una vecchia definizione, che si può ancora sfuggire allo sguardo panottico degli eurocrati e dei loro compari facebookiani, è qui, nel profondo del cyberspazio, che nasce e cresce l’insubordinazione contro le elite globaliste.
Viva la libertà ma non fidiamoci troppo di Facebook e dei suoi “fact-checker”, perché questi signori non sono dei filantropi e la loro missione resta una sola, pensare ai loro interessi di bottega magari facendo un favore al politicante di turno. Si chiami Clinton, Merkel o come volete voi.