Fake news, odio e altri peccati: un’insistenza che puzza di bruciato

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Fake news, odio e altri peccati: un’insistenza che puzza di bruciato

Fake news, odio e altri peccati: un’insistenza che puzza di bruciato

10 Febbraio 2020

Molto opportunamente Luca Ricolfi sul ‘Messaggero’ ha strapazzato la crescente attitudine della classe politica di sinistra a prodursi in sermoni e rimproveri anziché sobriamente limitarsi a governare i fenomeni sociali, contrastare il declino economico, occuparsi di sicurezza e di salute pubblica. Ricolfi lo ha rilevato a proposito del problema del coronavirus, rispetto al quale dal Presidente del consiglio in giù la preoccupazione principale sembra essere quella di esprimere pensieri politicamente corretti, bacchettando i discoli, che si annidano tra la gente comune, magari troppo spaventata, ma anche tra quei governatori del Nord, che hanno chiesto se, in analogia a quanto previsto per gli adulti, non sia opportuno che anche i bambini provenienti dalla Cina siano fatti rientrare a scuola dopo un periodo di osservazione. Quella che può sembrare una proposta prudente e ragionevole, anche perché al momento non disponiamo di un vaccino per questo virus e l’unica strategia praticabile è quella del contenimento delle occasioni di contagio, viene presa speciosamente a simbolo di razzismo e di volontà di escludere, e quindi moralisticamente sanzionata.

Ma i predicozzi sul coronavirus sono solo l’ultimo episodio di una serie che ormai sta diventando veramente inquietante. Da un po’ di tempo tira una brutta aria per “gli odiatori”, e sembra che il compito delle autorità pubbliche sia quello di combattere l’odio, particolarmente fiorente sui social, come si sa. Enunciato come un punto forte del programma delle Sardine, ha costituito il fulcro di una riflessione accorata della ministra degli Interni Luciana Lamorgese che ha confidato il suo cruccio a ‘Repubblica’, un organo di stampa che notoriamente si è sempre tenuto lontano da personalizzazioni e criminalizzazioni di avversari politici, a cominciare da Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, per arrivare a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, per i quali ogni giorno da Largo Fochetti partono moderate espressioni di dissenso accompagnate da bacini e cuoricini, tipo “cancellare Salvini”. L’uscita di Lamorgese è stata contestata energicamente da Vittorio Feltri, da Giorgia Meloni e sommersa da decine di commenti polemici, ma anche divertiti e stupiti. Sicché forse non è il caso di infierire ancora.

Ma un paio di cose le vorrei aggiungere comunque, oltre la polemica occasionale.

Intanto, la questione dell’odio da combattere sembra essere solo l’ultima reincarnazione delle campagne contro le fake news e la cosiddetta post-verità, che dallo stupore maldigerito della vittoria di Trump in poi sono diventate un leit-motiv mediatico della sinistra: discorso meritevole di un approfondimento serio e circostanziato, da mettere in agenda.

Poi, tanto per essere inequivoci, neppure a noi piacciono le volgarità e gli incitamenti alla soppressione metaforica o fisica, rivolte contro chiunque. Per dire, le rappresentazioni di Salvini a testa in giù o i dileggi contro la persona di Giorgia Meloni non sono di nostro gradimento. A quelli che per anni hanno insultato la statura di Renato Brunetta o maramaldeggiato loscamente sull’avvenenza di Mara Carfagna e di altre donne di centrodestra forse non altrettanto. Nonostante questo dalle nostre parti – che per capirci sono sempre quelle di Edmund Burke – si continuano a detestare i giacobini e i tribunali del popolo, e si continua a pensare che sia molto pericoloso immaginare che una qualunque agenzia governativa o una qualunque commissione parlamentare abbia il compito di stabilire quali sono le opinioni e le espressioni consentite nel discorso pubblico e meno che mai debba avere il potere di censurarne alcune.

Per tutto il resto – offese, violenza, razzismo – ci sono le leggi, le denunce e i procedimenti penali, con le relative garanzie, che nel nostro mondo abbondano. E poi – anzi a monte – la cultura, l’educazione e, se vogliamo, la resistenza “benedettina” al degrado della civiltà e della comunicazione.  Altre misure, che vedano protagonisti organi politici o di emanazione politica, oltre ad essere quasi sempre inefficaci, sono sottoposte a un rischio di arbitrio difficilmente compatibile con i diritti propri di un ordinamento liberaldemocratico.