Famiglia, ecco perchè i laici stanno col Papa
20 Marzo 2007
Le parole con le quali Benedetto XVI ha richiamato e continua a richiamare i cattolici che ricoprono cariche politiche e, più in generale, tutti i cattolici a non favorire una legislazione che vada contro i principi della “natura umana”, colpiscono per la chiarezza ma, come prevedibile suscitano ironie, dissensi e malumori. Segno di un brutto momento e di una preoccupante mentalità che ha poco a che vedere col laicismo tradizionale che mai aveva pensato che la sua idea di separazione tra stato e chiesa potesse consistere nell’identificarsi in una concezione dei diritti svincolata da doveri e da responsabilità. Quel ‘laico’, infatti, non pensava certamente che si dovesse favorire il dilagare di una complessità sociale che avrebbe prodotto un’incertezza diffusa che, a sua volta, si sarebbe infine risolta o in nuove forme di autoritarismo statalistico, o in una sottrazione dei minorenni ai ‘genitori’ per affidarli ad assistenti sociali o a ‘centri specializzati’ (ed ognuno può immaginare cosa
sia peggio). Siamo veramente sicuri di voler vivere in una società sempre più complessa e realmente pensiamo che sarà anche più felice?
Per questo, per evitare il definitivo sconquasso di quell’istituzione discutibile quanto benemerita che è la famiglia tradizionale dell’occidente, e di fronte ad una situazione di incertezza, in cui ragioni di appartenenza e di opportunità politica si mischiano alla necessità di regolare in qualche modo le unioni di fatto, Benedetto XVI ha ribadito i princìpi della dottrina cristiana. Così facendo non ha fatto che il suo dovere. E anche noi laici dobbiamo essergli grati d’essere lo strenuo difensore di valori che sono anche nostri. Il fatto che la famiglia sia in crisi (o che così la si voglia dipingere) e che nei secoli si sia modificata, non intacca la sostanza del richiamo. Dirsi cattolici significa condividere, anzi ritenere,”non negoziabili”, alcuni princìpi, tra i quali il rispetto della vita e la tutela della famiglia occupano i primi posti. Quei princìpi, ovviamente non se li è inventati Benedetto XVI, ma sono da sempre al centro della dottrina cattolica perché sono dedotti dalla legge naturale e del suo impianto tomista che, oltre all'”amore per Dio”, implica di “fare il bene ed evitare il male”. Sono quindi fondati su una concezione della natura umana che può essere discussa e respinta, che può essere disattesa dai credenti, ma che nessuno può pretendere venga taciuta dal Papa.
Benedetto XVI sa bene che riguardo alle unioni di fatto e all’aborto, in tanti, credenti e non credenti hanno incertezze e son turbati dalle cronache: non sanno più con esattezza cosa sia il bene e cosa il male, né riescono a percepirne con chiarezza i confini. Il suo monito è rivolto a tutti costoro, ai laici perplessi, ma soprattutto a quanti, con una certa incoscienza, vorrebbero decretare la morte della famiglia tradizionale e il diritto di abortire in ogni caso.
Assistiamo, in tutti questi casi, ad una situazione in cui il soddisfacimento di un bisogno o di un’aspettativa (senza entrare nel merito di quali siano le caratteristiche per definirli ‘legittimi’) viene scambiato e spacciato come un ‘diritto’; ed in cui, dato che anche la realizzazione dei diritti ha un costo, nessuno di coloro che li reclamano sembra preoccuparsi non del “costo sociale” della loro realizzazione, ma di chi ne pagherà il costo. Ogni azione umana, infatti, per quanto appartenente alla sfera più individuale (come quella sessuale) o ispirata a nobili motivi, ha delle conseguenze sociali e quindi dei costi, che si distribuiscono in maniera talora casuale su tutta la società, ma che ‘prediligono’ i suoi membri più deboli.
Ma a quelle parole del Papa, condivisibili sia pure per motivi diversi anche da un laico, la reazione di ‘laicisti’ e di ‘cattolici adulti’ (ovvero quelli che non si lasciano guidare da nessun altro se non dalla propria coscienza, e non perché ‘protestanti’, ma perché propendono per una sorta di cattolicesimo “fai da te”) è stata decisamente fuori tono. Alcuni,dimenticando che esiste un Concordato, hanno denunciato l’ingerenza di un capo di stato straniero nei nostri processi legislativi; altri la distinzione tra morale e diritto per dire che le due sfere sono autonome e per richiamare Papa e Cei a non occuparsi di politica. Come se la distinzione tra religione e politica fosse tanto evidente da essere anch’essa naturale, innata ed intangibile. Sembra quasi, e questo è l’aspetto maggiormente preoccupante della situazione anche per un laico, che costoro pensino e si illudano di chiudere quella dialettica tra filosofia e religione della quale da secoli si anima e vivifica l’Occidente, escludendo la religione dalla sfera pubblica e attrezzandosi politicamente per farlo. Ciò che non soltanto mostra un atteggiamento paranoico nei confronti di chi esprime idee diverse, ma appare sommamente ridicolo in un paese come l’Italia, patria della teoria e della pratica della ‘concertazione’, in cui nessuno si scandalizza se sindacati, confindustria, tassisti, confcommercio, etc., trattano direttamente col governo dei provvedimenti che li riguardano. Quel che non si capisce, quindi, è perché il Pontefice e la Cei non possano richiamare i fedeli ai princìpi della religione cui dicono di appartenere, né ricordare che non sono creati dalla politica e modificati dalle sue maggioranze.
Sul concetto di natura umana, sui principi della legge naturale cattolica, sulla deducibilità dei diritti naturali della tradizione lockeana dalla legge naturale, si può dissentire in ambito scientifico e li si può respingere su quello pratico. Ma chi lo fa, abitualmente, non si dichiara cattolico e, in genere, ha scarsa simpatia per le religioni e le culture dei diritti ‘fai da te’.