Fare chiarezza sullo “status” della Palestina all’ONU

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Fare chiarezza sullo “status” della Palestina all’ONU

22 Settembre 2011

Tra poche ore il presidente della Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, sottoporrà formalmente al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, la richiesta per il riconoscimento dello Stato di Palestina tra i Paesi membri dell’ONU. Ban a sua volta girerà la lettera al rappresentante libanese che guida la presidenza a rotazione del Consiglio di Sicurezza. Fin qui, la procedura è chiara. Ma non è detto che sia la strada maestra per la nascita della Palestina, considerando che gli Stati Uniti hanno già fatto sapere che opporranno il veto in Consiglio, e perciò conviene districarsi un po’ meglio tra le varie opzioni, considerando anche che sullo status attuale dei palestinesi all’ONU regna una certa incertezza.

Iniziamo col dire che esiste già una "Permanent Observer Mission of Palestine" alle Nazioni Unite. L’ONU garantisce un posto di osservatori al Palazzo di Vetro a diverse organizzazioni internazionali, agli Stati che non sono membri, e ad altre entità secondo il principio della autodeterminazione dei popoli e sulla scia della decolonizzazione. Da questo punto di vista, in passato i palestinesi hanno già ottenuto dei risultati importanti, che non sono stati riservati ad altri popoli che pure si battono per la stessa causa. La Palestina è uno "non-state observer", una entità, che è una cosa diversa dagli Stati "non-membri" dell’ONU, come la Svizzera. Eppure, a differenza di altre nazionalità, i palestinesi hanno un ufficio permanente nel Palazzo di Vetro, come la Santa Sede. Nel dicembre del 2010, la decisione presa dal Brasile e da altri Stati sudamericani di riconoscere la Palestina come Stato sui confini del ’67 ha rafforzato la posizione di Abbas all’ONU. 

Detto questo, veniamo all’oggi. Il presidente palestinese inoltra la sua richiesta per un pieno riconoscimento a Ban; il segretario generale la gira al Consiglio; l’amministrazione Obama mette il veto e passa la palla all’Assemblea Generale: ai palestinesi serviranno i due terzi della maggioranza dei 193 membri delle Nazioni Unite per ottenere lo status di "osservatore" non-membro dell’ONU (non più il pieno riconoscimento di Stato membro, dunque). E’ questa la linea sposata dal presidente francese Sarkozy per evitare guai: aggirare preventivamente il Consiglio di Sicurezza. Chiedere ai palestinesi di "accontentarsi" di una Risoluzione che gli garantisca il pieno riconoscimento di "osservatori" nella Assemblea, una soluzione che non presuppone il voto del Consiglio. Probabilmente, i palestinesi avrebbero i numeri per far passare la Risoluzione. Ma in realtà, come abbiamo già visto, ai palestinesi quel riconoscimento è stato già riconosciuto implicitamente da anni. Ottenerlo ufficialmente gli permetterà di chiedere alla Corte Penale Internazionale di investigare sui "crimini di guerra" israeliani, possibilità che negli ultimi anni la Corte ha sempre negato. 

Seguendo questa strada, i palestinesi farebbero in ogni caso un passo in avanti verso la nascita del loro Stato, aggirando il veto americano, e ci guadagnerebbero "l’arma" del diritto internazionale, da usare nei confronti del nemico israeliano. Sarkozy, che si presenta come il regista di questa operazione, lega la concessione dello status alla ripresa dei negoziati e ad una deadline ravvicinata del processo di pace (per emergere "da una situazione di immobilismo dove prosperano gli estremismi"), ma sembra sottovalutare i rischi legati all’ufficializzazione della Palestina "osservatore", ansioso com’è di raccogliere nuovi consensi all’interno del mondo arabo e musulmano dopo la vittoria in Libia (nel suo discorso ha comunque detto che i palestinesi, ottenuto lo status, dovranno impegnarsi "a non avviare azioni incompatibili con la continuazione dei negoziati", come il ricorso al Tribunale).

Un compromesso, quello offerto dal presidente francese, che né gli americani (basta leggersi le dichiarazioni dell’obamiano Ben Rhodes), né i palestinesi (nella persona dell’ambasciatore Rabbo), finora hanno escluso del tutto, i primi convinti che il veto indebolirebbe l’immagine degli Usa nel mondo islamico ancora di più di quanto non lo sia già, i secondi temendo di esporsi troppo in nome di un risultato simbolico e al prezzo di pesanti ritorsioni economiche da parte del Congresso americano.