Fassina se ne va perché c’è un Pd che non si fa rottamare
05 Gennaio 2014
di redazione
A Renzi in conferenza stampa dopo la prima direzione del Pd chiedono di commentare una dichiarazione di Stefano Fassina, viceministro dell’economia. "Chi?" risponde il segretario, non è chiaro se provocatoriamente. Tanto basta a Fassina per dare a Letta le sue dimissioni "irrevocabili". Poi spiega: "Le parole del segretario Renzi su di me confermano la valutazione politica che ho proposto in questi giorni: la delegazione del Pd al governo va resa coerente con il risultato congressuale. Non c’è nulla di personale. È questione politica. È un dovere lasciare per chi, come me, ha sostenuto un’altra posizione. È responsabilità di Renzi, che ha ricevuto un così largo mandato proporre uomini e donne sulla sua linea". Un Pd è finito, un altro è iniziato, ma la decisione di Fassina, netta e senza fronzoli, che era già nell’aria dopo la intervista a Repubblica, dimostra che un pezzo del partito non è disponibile ad accettare come se niente fosse la rottamazione. "Ci sono state molte caricature nel rappresentare l’azione di governo, enfatizzando aspetti marginali e ignorando invece molti buoni provvedimenti: dalla piattaforma per le piccole imprese al blocco degli aumenti previdenziali per le partite Iva, alle risorse per 23mila esodati", dice ancora Fassina, rivendicando ciò che di buono ha fatto fino adesso il Governo Letta.