Febbre suina, la “grande paura” che circola nei mercati è tutto un bluff?
28 Aprile 2009
Se si dovesse passare alla “Fase di allerta 5”, come preannunciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, vorrebbe dire che la febbre suina ormai è in grado di spostarsi rapidamente tra Paesi confinanti e che la pandemia è imminente. Nella “Fase 6” ci sarebbe una pandemia su larga scala. Così la grande stampa e Internet preparano psicologicamente gli Usa a un evento di proporzioni catastrofiche. Tanto più che gli effetti del virus rischiano di sconquassare l’economia globale già minata dalla recessione in atto. Nel 2003 la Sars contagiò “solo” 8mila persone (uccidendone 800) ma colpì pesantemente le economie dell’Asia Orientale.
Il governo americano non è impreparato: dopo l’aviaria e la Sars ci sono stati forti investimenti nei medicinali, nella ricerca e nelle strategie di contenimento. E’ stato anche messo a punto un sistema di sicurezza per controllare le frontiere. Il problema se mai è di tipo economico. Le industrie americane potrebbero reggere un altro colpo senza chiedere l’intervento dello stato? Probabilmente no. Il governo federale dovrà tamponare l’emorragia delle assicurazioni mediche, della sanità, del comparto aereo-portuale.
Meno ovvio chiedersi se le grandi corporation riuscirebbero a mantenere intatti i loro standard di produttività. Che succederebbe nel sistema dei trasporti, nei sistemi di pagamento bancari, nella grande e piccola distribuzione? Qualcuno consiglia di investire nell’industria farmaceutica visto che le compagnie del settore potrebbero beneficiare della pandemia. La svizzera Roche, produttrice del Tamiflu (un antivirale utile a debellare l’influenza) ha già guadagnato qualche punto in Borsa.
La prima ad essere colpita sarebbe anzi è l’industria turistica, una delle più importanti se parliamo dell’economia messicana (22 milioni di visitatori stranieri lo scorso anno). Voli cancellati, prenotazioni andate in fumo, teleconferenze per evitare che gli uomini d’affari debbano prendere l’aereo per finire in quarantena. Ieri l’Unione Europea ha sconsigliato di viaggiare in Messico e negli Usa. Due anni fa il New York Times si chiedeva se le compagnie aeree sarebbero pronte a trasportare personale e medicine nelle zone focolaio del virus o sottoposte a quarantena. Ad essere colpito sarebbe in ogni caso l’intero sistema dei trasporti e del commercio interno ed estero, su gomma, rotaia, eccetera.
Anche per l’allevamento e l’industria alimentare sarebbe una debacle. Russia, Cina ed Emirati Arabi hanno già proibito le importazioni di carne suina dal Messico. Il prezzo del greggio cadrebbe ancor di più ma non è detto che sia per forza un male. Nel mondo finanziario potrebbero essere reintrodotte delle forme di controllo del “capitale volatile” e sul mercato azionario. La pandemia, infine, sarebbe una buona scusa per inasprire i dazi e le misure protezionistiche.
Il fatto che le persone si rinchiuderebbero in casa comporta tutta una serie di conseguenze. La situazione potrebbe evolvere in una specie di stato di guerra con il governo costretto a prendere il controllo diretto delle infrastrutture operative, energia, acqua, servizi di emergenza sanitaria, rifornimenti di cibo e vettovagliamenti. Il sistema della distribuzione funzionerebbe a singhiozzo spingendo le persone a uscire di casa per trovare mascherine cibo o medicinali. Supermarket e centri commerciali rimasti aperti si troverebbero nelle necessità di dover razionare la propria merce. In breve tornerebbe il mercato nero.
Qualcuno dice di essere pronto a ogni evenienza. Al tempo dell’aviaria, Time Warner stava lavorando a un progetto per far andare in onda automaticamente le sue trasmissioni satellitari, per esempio i cartoni animati destinati ai bambini costretti a restare in casa per settimane o mesi. Deutsche Bank e FedEx assicurano di poter continuare a garantire i loro servizi anche in una situazione di crisi avanzata, ma la maggior parte delle grandi imprese probabilmente non ha un piano di salvataggio adeguato. Sarebbe anche un’occasione ghiotta per avanzare richieste e controlli sulla salute dei dipendenti, con buona pace della loro privacy.
La Banca Mondiale ha stimato in circa 3 miliardi di dollari il costo di una pandemia di grandi dimensioni, con una caduta del 5 per cento del PIL globale. La complessità delle economie moderne rende i mercati più vulnerabili alle catastrofi sanitarie e potrebbe accrescere tendenze o tentazioni autoritarie in diversi teatri geopolitici. In questo scenario da “28 giorni dopo” – ancora inverosimile se guardiamo come stanno andando realmente le cose – c’è anche chi chiede di non farsi prendere dal panico. Domenica scorsa l’italiana Coldiretti ha emesso una serie di comunicati per invitare i consumatori a non cadere in quella “isteria” registrata in passato, che fece andare in fumo centinaia di milioni di euro. Un appello da sottoscrivere incrociando le dita.