Feltri, l’eutanasia e le colpe della Chiesa

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Feltri, l’eutanasia e le colpe della Chiesa

16 Novembre 2008

 

Vittorio Feltri è un ottimo giornalista. Ha fiuto per le notizie che “tirano” e sa come venderle al pubblico. Possiede un solido buon senso che unito a una scrittura rapida e senza fronzoli lo aiutano a smascherare le inutili complessità della politica e le molte ipocrisie dei politici. Ma quando applica queste sue doti a temi diversi da quelli che farebbero furore in un bar o in qualsiasi talk show serale, il risultato non è altrettanto notevole.

Nel suo editoriale di ieri su Libero, Feltri si incarica di dimostrare che la Chiesa cade in contraddizione quando consente il criteri di “morte cerebrale” e invece nega la cessazione delle cure ai “comatosi irreversibili”. Lo fa aggrappandosi ad un recente editoriale di Lucetta Scaraffia sull’Osservatore Romano che mise in imbarazzo il Vaticano con posizioni considerate estremiste persino dai pro-life americani.

Ovviamente questo non scoraggia Feltri, che anzi applica a questa delicata tematica la sua risorsa di indagine preferita: i danè. Il direttore di Libero lascia intendere infatti che dietro tutto questo, inconfessabili, agirebbero le pressioni del “business dei trapianti”.  Anche se l’elaborazione scientifica del concetto di morte cerebrale precede nel tempo l’affermarsi della tecnica diffusa del trapianto d’organo.

Al posto del concetto di morte cerebrale, Feltri preferirebbe il più genuino e “visibile” arresto cardiaco: dice infatti: “non s’è mai visto un cadavere con cuore che batte”. Affermazione non vera perchè il cuore può essere tenuto in funzione artificialmente in un cadavere mentre il cervello no; e poi rischiosa perchè al contrario la casistica clinica è piena uomini col cuore che non batte eppure vivi.

E’ questo uno di quei casi dove il buon senso non soccorre la mancanza di studio e di preparazione. Da anni l’intera comunità scientifica (con sempre meno eccezioni) considera infatti  la “morte cerebrale” come un criterio molto più garantista di quello cardiaco. In un documento del 2007 della Pontificia Accademia delle scienze, redatto da numerosi neurologi e altri specialisti dal titolo “Perché il concetto di morte cerebrale è una valida definizione di morte”, si legge a questo proposito: “Esistono molti casi documentati di pazienti dichiarati morti dopo il fallimento della rianimazione cardiaca che sono stati scoperti in seguito essere ancora vivi. Occorre inoltre affermare che la definizione tradizionale di cessazione naturale dell’attività cardiaca come “morte” non è accettabile perché è ormai possibile sostenere il battito cardiaco in maniera artificiale, allo stesso modo in cui la circolazione sanguigna al cervello può essere mantenuta artificialmente in un cervello morto. La confusione è generata dalla presenza di sistemi meccanici che sostituiscono artificialmente il ruolo del cervello come generatore del funzionamento degli organi essenziali. Perciò, la diagnosi di morte cerebrale è molto più certa di quella di morte cardiaca.”.

Mettere inoltre  in relazione la morte cerebrale (verificata secondo tutti i criteri dettati dalla legge)  con gli stati comatosi o vegetativi come quello di Eluana Englaro, pretendendo che vi sia una somiglianza, è del tutto fuorviante. Un morto cerebrale è morto e basta: il suo cuore può continuare a battere per qualche ora o al massimo qualche giorno con ausilii meccanici, la respirazione deve essere sostenuta con il ventilatore, non esiste alcun segnale di coscienza. Tolte le apparecchiature che tengono in funzione gli organi, il corpo si avvia verso le fasi di disfacimento e decomposizione.

Eluana è viva, respira da sola, si sveglia la mattina e si addormenta la sera, le sono tornate le mestruazioni, le sue condizioni cliniche peggiorano e poi migliorano, molto probabilmente sogna: muore solo se le si tolgono l’acqua e il cibo. E’ questo che Feltri chiede alla Chiesa per difendere la sua propria coerenza?

Film e romanzi horror hanno instillato nell’opinione pubblica una facile risposta emotiva in tema di furti di organi, trapianti da corpi vivi e altri incubi del genere. Feltri solletica queste emozioni e fa male perché in Italia come in tutti gli altri paesi sviluppati i criteri per giungere alla dichiarazione di morte cerebrale sono molto rigidi, richiedono la supervisione di più medici, analisi ripetute lungo periodi che vanno dalle 6 ore per un adulto fino alle 24 per un neonato, un elettrocardiogramma piatto per almeno venti minuti consecutivi. Una procedura che fece dire a Giovanni Paolo II nel 2000: "Può essere affermato che il criterio recentemente adottato per accertare l’avvenuta morte, detto della cessazione completa e irreversibile di qualsiasi attività cerebrale, se rigorosamente applicato, non confligge con gli elementi essenziali dell’antropolgia".

Feltri ci regala ogni giorno su Libero buon umore e divertimento con i suoi titoli “sparati”, l’irriverenza degli articoli, la cattiveria genuina con cui racconta la politica. Non tutto però può essere trattato a questo modo. Il suo maestro, Indro Montanelli, aveva le doti giornalistiche a cui Feltri si ispira, ma quando parlò a favore dell’eutanasia lo fece con tutt’altro stile.