Feltri va all’attacco sui preti pedofili con un pm che faceva meglio a tacere
02 Aprile 2010
Il Giornale di ieri ha pubblicato una intervista al magistrato Pietro Forno, capo del pool antimolestie della procura di Milano. L’intervistato sostiene che i casi di molestie da parte del clero milanese sono tanti, che la gerarchia non ha mai impedito le indagini ma non ha nemmeno mai fatto denunce, coprendo nella sostanza i colpevoli, e che addirittura secondo lui molti entrano in seminario e si fanno preti proprio per poter avere occasioni di questo genere. In un editoriale, il direttore Vittorio Feltri avverte che non bisogna fare di ogni erba un fascio ma che le notizie vanno date, comprese le interviste di questo tipo.
Non c’è nulla da eccepire ad un giornalista che fa un’intervista, né ad un direttore che la pubblica. Però se io fossi stato Pietro Forno quella intervista non l’avrei data. Non l’avrei data per molti motivi. Prima di tutto per i tempi. Quando il clima si surriscalda, quando tutti sguinzagliano cani da tartufi che vadano a frugolare qui e là, quando si ripescano fatti degli anni Sessanta e Settanta, quando si riaprono archivi con la polvere sopra, quando si ripresentano fatti già noti in nuove salse, quando riviste come “Letf” pubblicano copertine con foto di preti e sopra la scritta cubitale “Pedofili”, quando il New York Times e The Economist se la prendono con il papa secondo il vecchio teorema “non poteva non sapere” che tanti danni ha già fatto, quando chi accusa sulla stampa nulla sa delle prese di posizione di questo Papa su questo problema e magari non ha nemmeno letto la famosa Lettera ai cattolici irlandesi, non è proprio il caso di concedere interviste da parte di un magistrato che per il suo incarico è venuto a conoscenza di tanti fatti dalle mille sfaccettature e dai mille retroscena.
Poi per il merito stesso. Il magistrato, per sua natura, dice e non dice. Non può fare diversamente. Allude, riverbera, adombra. Non può fare nomi e cognomi, non può citare fatti, parla di una sua esperienza, pluriennale sì, ma dai contorni non precisati. Non dice quante accuse di quelle di cui sta parlando sono andate in giudizio e hanno subito una condanna definitiva. Non si può negare che quanto dice egli lo fondi su esperienze dirette, ma il lettore non ha accesso ai dati di quelle esperienze dirette e quindi l’informazione diventa chiacchiera. Ai dati approssimativi – approssimativi per il fatto che, appunto, il magistrato è costretto a dire e non dire – si mescolano le valutazione personali, le ipotesi e le congetture. Compresa la più terribile: l’impressione che molti entrino in seminario e che diventino preti proprio per avere occasioni di scaricare la loro libido perversa. E il lettore si fa l’idea che tutti i seminari d’Italia siano degli inferni prostibolari, che gli educatori siano degli allocchi o dei complici, che i rettori si girino sistematicamente dall’altra parte, che i vescovi siano dei magnaccia.
Ho avuto l’occasione di insegnare, da laico, nel seminario della mia città. Gli educatori erano persone validissime, l’attenzione educativa ai giovani molto alta, la formazione priva di ogni forma di costrizione, molto edificante e libera, la selezione attenta e scrupolosa, la tensione spirituale molto intensa, l’interessamento del vescovo molto assiduo, la memoria di insigni educatori del passato molto coltivata, l’uso delle categorie della psicologia molto accurata. Credo che questa mia esperienza non fosse unica nel panorama della Chiesa italiana di quei tempi e che anche oggi sia così. Oggi, del resto, le vocazioni sono soprattutto adulte e in molte diocesi il seminario minore non c’è nemmeno più: ragione in più per pensare ad un approccio maturo alla fede, senza naturalmente escludere le patologie che sono sempre possibili.
A me sembra che la Chiesa, come tutti del resto, abbia due diritti fondamentali, che valgono anche in questo periodo di profonda tristezza e di assedio, di vergogna per il comportamento di alcuni suoi membri e di attacchi ingiustificati, di perdono e di livore. Il primo diritto è che si faccia una informazione vera nei suoi confronti. Che si raccontino tutte le storie e si dicano tutti i fatti. Che non si alluda e non ci si trincei, dopo aver parlato, dietro il segreto professionale e che non si rimandi a documenti che il comune lettore non andrà mai a leggersi. Se si informa che dalla diocesi di Milwaukee partì una richiesta al cardinale Ratzinger per il caso Murphy, bisogna anche dire che i fatti in questione erano accaduti venti anni prima, che il padre Murphy era ormai completamente ritirato, molto ammalato e quasi moribondo, che egli chiese alla Sante Sede di essere per questo dispensato da un processo e che subito dopo morì, prima di ricevere risposta. Il secondo diritto è che alla Chiesa sia permesso di essere quello che è. Che non si tiri in ballo continuamente il tema del celibato nella pretesa di iniettare dentro la Chiesa principi e criteri che sono propri del mondo. Che non si approfitti della cronaca per infangare la Chiesa come tale, perché anche i preti, quelli accusati e anche quelli che non lo sono né lo saranno, hanno i loro diritti. Come del resto un parroco ha ancora il diritto di accarezzare un bambino sul sagrato dopo la messa.
Il mondo ha ragione a chiedere chiarezza e giustizia. Sono anche certo che per molti motivi svariati fenomeni sono tenuti nascosti, non necessariamente in cattiva fede, ma senz’altro in modo sconveniente e senz’altro in contrasto con la linea che questo papa ha dato da tempo a questa problematica. Però questo mondo è anche quello che accetta l’accanimento dell’aborto, che getta sui bambini una grande quantità di immondizia al punto che un bimbo di 12 anni conosce già tutte le perversioni sessuali, che tollera la prostituzione di giovanette diciottenni considerandola al massimo un problema di ordine pubblico, che vuol mettere in mano alle teenagers la RU486. Forse ci vorrebbe una calmata. Mettiamo pure le cose in fila, al loro posto, una dopo l’altra, diamo a ciascuno il suo, ma con calma e ragionevolezza. Non era proprio il tempo giusto per questa intervista.