Ferrara da Milano spiega la moratoria e difende il Papa
15 Gennaio 2008
Erano le ore 18.40
a Milano e Giuliano Ferrara, accompagnato sul palco del Teatro Dal Verme dall‘onorevole
Sandro Bondi, ancora non riusciva a parlare, assediato com’era dai fotografi.
Poco prima del suo arrivo era appena stato allontanato il solito Pietro Ricca, già assaltatore di Silvio Berlusconi. La
platea era al completo e il pubblico variegato, quando Ferrara ha iniziato il
suo intervento.
Ad invitarlo l’Associazione Pierlombardo Cultura. In prima
fila, tra gli altri, anche Roberto Formigoni; sugli spalti molti simpatizzanti
e iscritti di Forza Italia ma non solo, lettori del Foglio, studenti cattolici
figli di genitori che hanno fatto il ‘68 e hanno saputo raccontar loro anche i
fallimenti di quella “rivoluzione”.
Ferrara ha
spiegato, attraverso la lettura della sua lettera al segretario delle Nazioni
Unite Ban Ki-Moon, cos’è la moratoria proposta sulle pagine del suo giornale lo
scorso 20 dicembre. È una battaglia culturale che parte dai 50 milioni di
aborti che ogni anno vengono praticati in tutto il mondo, dai Paesi in cui il
fenomeno è silenzioso e di massa – come la Cina e l’India – a quelli in cui i
progressi dell’eugenetica sono stati utilizzati ai fini del miglioramento della
razza. Una battaglia per chiedere che al testo dell’articolo 3 della
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo venga aggiunto che la vita va tutelata “dal
concepimento fino alla morte naturale”. Perché, ha sottolineato Ferrara, “il
patrimonio unico e irripetibile” del DNA è già presente nell’embrione, fin dal
primo stadio del suo sviluppo. E ha spiegato ciò che la moratoria non è: non è
un ricorso alla persecuzione penale dell’individuo che sceglie di praticare l’aborto,
né della madre né del medico.
“Chi pensa che si voglia costringere una donna a
partorire mandandole i carabinieri a casa – ha detto – deve aver davvero
sottovalutato il senso della realtà del suo interlocutore: non si tratta né di
belle favole di orchi né di ideologia”, ha detto il direttore del
Foglio. “Lo si capisce ad esempio dal testo della mozione Bondi”, o dalle
adesioni giunte al giornale. La moratoria, ha chiarito, è una scelta
impegnativa che va rispettata, non certo una persecuzione penale.
La 194 è
stato un buon compromesso, ha detto Ferrara, ma da allora sono passati 30 anni.
L’aborto “da legale è diventato legittimo, moralmente indifferente, e questo
non si può tollerare per nessuna ragione laica al mondo”. “Noi – ha aggiunto –
non siamo la civiltà della Rupe di Tarpea, siamo la civiltà giudaico-cristiana”.
Per Ferrara l’aborto è un omicidio perché cancella un futuro. “Ma non sto
dicendo che donne siano assassine – ha precisato – esiste un diritto di nascere
e va difeso”.
Giuliano Ferrara si è augurato che si fondino comitati per la
moratoria in tutti i partiti e che anche Silvio Berlusconi scelga di
pronunciarsi sulle delicate questioni morali ed etiche. Ma soprattutto, ha
aggiunto, si augura che del tema della vita si parli negli atenei, “o vogliamo
che tutte le università diventino come Roma, dove vogliono vietare di parlare
al Professor Joseph Ratzinger?”. E, paonazzo in volto, si è meritato la
standing ovation.
Ma non ha di certo
parlato nel silenzio che normalmente regna a teatro, Giuliano Ferrara. Cinque
ragazze hanno strillato “fascista – nazista – ignorante” a pieni polmoni, per
tutta la durata dell’incontro. Allontanate dalla prima fila, hanno proseguito
qualche metro più in là la loro protesta. Contrariamente a quanto qualcuno
scriverà, non sono state affatto allontanate, e noi le abbiamo viste da vicino.
Erano giovani, berretti tricot da alternative e immancabile parka, le quattro
tra loro che si dimenavano rivendicando la loro libertà di parlare.
Ferrara ha
proseguito il suo intervento, cedendo solo ad un accenno alle disturbatrici.
Era il pubblico a reagire: i fischi dal fondo della platea – che i giornalisti
delle prime file non sapevano come etichettare – erano rivolti alle contestatrici
fuori posto e fuori moda.
Una di loro, in particolare, la quinta, stava in
piedi, sulle scalinate, riesumando a ripetizione i gesti delle “streghe” che
pensavamo d’aver dimenticato. Illuminata dai flash ha alzato ritmicamente le
braccia per mimare “l’organo sessuale è mio” (e me lo gestisco io). Infagottata
in una giacca a vento, alla fine si è voltata. Il suo viso era segnato dal
tempo e i suoi capelli erano ormai striati d’argento.