Ferrara e Papa Francesco, quel “dissenso fraterno”
09 Luglio 2013
Se Giuliano Ferrara non esistesse bisognerebbe inventarlo. Prende tasti e mouse e si rivolge con un “tu” filiale a papa Francesco per dire secondo dati di fatto “l’errore” di Lampedusa di dar da intendere come negativa “la globalizzazione” (materialmente «novecento milioni di persone stanno meglio oggi a mercati aperti di quanto stessero ieri»).
Al tempo stesso, poiché non è l’ipocrita per cui un Papa funziona se funziona agli occhi del mainstream, «con un abbraccio fraterno» Giuliano dice a Francesco l’affetto dell’uomo libero che non ha da perdere nulla se non le catene di un’intelligenza che non si rassegna al “di più” della fede in Cristo.
Scusate, ma questo è il metodo che ci si impone. E che lo stesso Francesco ha mostrato in azione andando a Lampedusa, rompendo la tradizionale procedura di viaggi petrini programmati in largo anticipo e meticolosamente pianificati. Più di tutte le parole colpisce un Papa che decide in cuor suo un viaggio. E prende e va perché si è sentito percosso da qualcosa. Nel caso, ha detto Francesco, «immigrati morti in mare… Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi…».
Allora uno non si inchina alla bontà, alle buone parole, alla buona causa. Uno guarda soltanto. Guarda uno che sente la fatica di tutti. E impara. Impara che Francesco non cinguetta #LoveIsLove, non dà l’amicizia con un clic, non è un’istruzione per l’uso. Gli dai del “tu”, al Papa. E non ti interessa se le sue parole funzionano o no nel gioco della comunicazione obamiana.