Ferretti ad Atreju, la passione c’è ma è anche troppa
14 Settembre 2013
di Joe Galt
Atreju. Negli ultimi anni Giovanni Lindo Ferretti ha fatto suo lo sciasciano "vissi e mi contraddissi". In una Italia dove la coerenza sconfina spesso con l’incapacità di cambiare idea (o perlomeno confrontarsi con quelle altrui) fa bene sentire GLF dire che "sono interessato a tutto, vorrei capire sempre di più di quello che mi sta attorno". Ferretti è passato dallo Spara Juri che i vecchi fan nostalgici dei CCCP intonavano ancora ad un recente concerto a Frascati (dei Csi, senza GLF), al Papa (Benedetto), alla Madonna e alla bandiera di Israele. Ma il problema di Ferretti, che anche quello di una intera generazione che nell’85 pensava che i russi stessero arrivando, è che la dura scuola dell’ortodossia non è finita con la caduta del Muro di Berlino. Così, la società "si sgretola". "Assistiamo alla sua autodistruzione". "La politica non dà soluzioni plausibili, io alzo gli occhi al cielo perché la salvezza dell’uomo e nella Incarnazione, nel Salvatore". Ora, vanno bene i dubbi sulle tecnoscienze, così come la critica del "tempo triste", di una politica in mano ai comici. Va bene il vuoto delle ideologie da riempire con la fede. Ma i toni di GFL con il passare del tempo sono diventati un po’ troppo luterani, un po’ troppo apocalittici, un po’ troppo "reborn", anche per chi, in passato, sembrava sedotto da Casini. Il giovane seminarista che dai balconi dell’Emilia Paranoica passò agli Appennini e ritrovò la tradizione, a cavallo del suo baio da guerra, dovrebbe, a nostro modestissimo parere, ritrovare una misura, una qualche forma di moderazione e realismo. Di prediche sulla fine del mondo, in fondo, ne sentiamo già abbastanza.