Festa della mamma. Per quanto tempo ancora?
10 Maggio 2015
10 maggio, festa della mamma; ma c’è chi sostiene che di maternità non si possa più parlare. E’ Eugenia Roccella, nel suo ultimo libro “Fine della maternità”, edito da Cantagalli: a partire dalla vicenda dello scambio di embrioni avvenuta all’ospedale romano Pertini lo scorso anno, l’autrice descrive cosa significa essere mamma al tempo della fecondazione artificiale.
Con le tecniche in vitro, infatti, è possibile aumentare il numero delle persone che contribuiscono al concepimento di un figlio: anziché due genitori di sesso diverso – il padre e la madre – è possibile individuare fino a sei persone coinvolte nella generazione di un figlio, e fra queste è quella materna la figura più incerta e frammentata.
Di padri ce ne possono essere “solamente” due: uno biologico – che mette a disposizione il liquido seminale – e uno legale – quello che risulterà ufficialmente padre. Ma di madri ce ne possono essere fino a quattro: una genetica, cioè che cede il proprio ovocita; una gestazionale, che affronterà la gravidanza e partorirà il bambino; una legale, che crescerà il piccolo e risulterà sua madre nei documenti anagrafici. C’è poi la possibilità che l’ovocita sia manipolato, ricevendo un contributo da parte di un’altra donna: in questo caso le madri genetiche sarebbero due, alterando in modo definitivo il patrimonio genetico del nascituro e dei suoi discendenti.
Non si tratta di scenari futuribili, ma di situazioni che già esistono in modo diffuso in altri paesi, e che cominciano ad affermarsi anche nel nostro.
Finora, legalmente, in Italia è riconosciuta come madre la donna che partorisce, come hanno stabilito i giudici nel caso dello scambio degli embrioni del Pertini, perché il parto è considerato da sempre la prova tangibile della maternità. Ma con l’utero in affitto questo non è più vero: a essere chiamata mamma sarà la donna committente, quella che ha pagato la gravidanza.
I figli, che secondo Filomena Marturano “non si comprano”, si possono commissionare e ordinare sul nuovo mercato globale del corpo.
Con la proposta di legge Cirinnà attualmente in discussione in parlamento, con cui si vorrebbero regolare le cosiddette unioni civili, l’utero in affitto entrerebbe di fatto nel nostro ordinamento giuridico. La proposta Cirinnà, infatti, prevede la “stepchild adoption”, cioè la possibilità di adozione del figlio biologico di uno dei due partner da parte dell’altro. Nel caso di coppie omosessuali maschili, quindi, se uno dei due ha avuto un figlio mediante utero in affitto, il convivente può adottarlo, con il risultato del riconoscimento legale di un figlio di due padri, e della cancellazione totale della madre.
Il quadro dello stravolgimento della filiazione e della genitorialità naturale viene completato con il “co-parenting”, a cui la Roccella dedica un capitolo: si tratta di un accordo fra due persone che vogliono avere un figlio senza che fra loro vi sia, però, alcuna relazione affettiva o di convivenza. Un divorzio senza matrimonio, in cui il figlio è “concordato” tra le parti tramite accordi contrattuali, indipendentemente dalla biologia e dai rapporti sessuali e affettivi.
Tutte le varie forme di genitorialità raccontate nel libro diventano possibili proprio a partire dalla scomparsa dell’unicità della figura materna, e per questo la Roccella parla di “fine della maternità”, una fine già in atto, che però si fa fatica a riconoscere. In modo strisciante, senza che ce ne accorgiamo pienamente, la figura materna si sta dissolvendo, e chissà per quanto tempo ancora potremo festeggiare la giornata della mamma.