Festeggiare il 2 Giugno non è affatto un insulto ai terremotati

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Festeggiare il 2 Giugno non è affatto un insulto ai terremotati

02 Giugno 2012

Da adolescente mi sono sempre stupito del numero dei film che Hollywood dedicava ai soldati americani, soprattutto di quelli che li mettevano in berlina: ‘Operazione sottoveste’ di Blake Edwards rimane topico! Poi mi sovvenne che gli Stati Uniti le guerre, di solito, le vincono, che ciascun corpo dei suoi eserciti ha il proprio stendardo, inno e che tutti i corpi sono in competizione tra loro, tanto che le risse di cui sono costellati quei film sono realtà. Del resto, negli USA fino a qualche decennio fa bruciare la bandiera era reato e tutt’ora non scommetterei sulla reazione dei passanti alla vista di qualcuno che brucia lo Stars and Stripes.

L’Italia invece le guerre le ha sempre perse, incluse, e per prime, quelle del Risorgimento. L’unità d’Italia è figlia dell’abilità diplomatica di Cavour, il primo ministro pronto ad allearsi tra Francia e Austria con il vincente di turno (se non del momento), dando prova di grande abilità e imperizia militare in egual misura. Cavour fece l’Italia, come gli aveva chiesto Casa Savoia, e lasciò la fattura degli Italiani ai successori, i quali non ebbero perizia di comprendere che la base dei popoli italici era policulturale, non polietnica, perché privati dalla controriforma, non avevano incubato una classe intellettuale (quindi politica) indipendente dalle corti e l’aristocrazia papalina. Di queste condizioni De Gasperi e Togliatti virtù indicando ‘l’italianità’ nella Costituzione del 1948. Quella repubblicana è però figlia di una doppia rinuncia politica: del primo a dichiarare il PCI fuorilegge, del secondo alla rivoluzione. Giusto o sbagliata che sia stata quella scelta – ed oggi più d’uno storico avanza riserve – l’Italia fa ancora i conti con i suoi effetti.

Reduce di molte stagioni politiche e uomo di sinistra capace di emanciparsi dalle sudditanze ideologiche del partito che ha fondato, il PCI, il nostro Presidente della Repubblica ha dimostrato di volersi esporre e sapere cosa dire a proposito della indispensabilità di una unità nazionale che superi gli steccati Destra Sinistra. Per questo i suoi continui richiami intorno alla Repubblica ed alla sua Carta fondativa non sono mai caduti nel vuoto. Però va ricordato che il Patriottismo costituzionale – almeno per come lo pensa Habermass – è la versione terzomondista e slava dello spirito nazionale che solo può fare di un gruppo di uomini che vivono insieme sullo stesso territorio un Popolo. Gli Italiani non sono ancora pervasi da questo spirito che all’inizio hanno avversato, una metà, per diffidenza verso uno Stato che aveva condannato anche eticamente il Fascismo ma non escluso la Destra politica dal panorama parlamentare; l’altra metà, per risentimento verso uno Stato che aveva ghettizzato la Destra e molte Istituzioni Statali nell’indegnità per correità con il Fascismo.

Negli anni decisivi è quindi mancata una seria politica di pacificazione nazionale. Quella che avrebbe dovuto prendere le mosse da didattiche scolastiche critiche ma non orientate e impedire che specifiche convinzioni politiche colorassero alcune attività lavorative, al punto da trasformare gli antagonismi economici del processo produttivo in antagonismi sociali. In assenza di questa politica quanto occorso negli anni 970, 980, 990 era inevitabile quanto che si affermasse una classe politica autoreferenziale convinta che gli Italiani sarebbero stati per molto ancora un gregge, di bambini, idioti (in senso kantiano ovviamente).

Il problema è che nonostante Berlusconi e Prodi – ad ambedue dei quali dobbiamo atto in questo senso – la triade kantiana dell’arroganza alberga ancora in qualche politico intellettuale soprattutto di sinistra. Lo sforzo del Presidente della repubblica di ricorrere a simboli e liturgie evocative è un convinto e sincero sforzo di dare riferimenti unitari al Paese, sempre più disilluso e insofferente verso le Istituzioni oltre che verso la Politica. E con l’evocazione di quei simboli sono le Istituzioni che vuole difendere e accreditare presso gli Italiani, più e prima della Politica che invece di quelle Istituzioni ha spesso abusato. Ma se è così forzare il festeggiamento della Repubblica nonostante gli eventi emiliani, riducendo il programma della parata ai Fori Imperiali che dovrebbe riflettere un momento di identificazione orgogliosa dei cittadini con le sue forze armate ma mantenendo il cerimoniale per corpo diplomatico, capitani di industria, finanzieri, intellettuali, parlamentari, politici stona. Come la stecca del primo violino durante l’assolo.