Finalmente scosso il tabù dell’aborto
10 Gennaio 2008
Ci volevano proprio la libertà di spirito e la limpida
intelligenza di Giuliano Ferrara per rimettere al centro della discussione
culturale, sociale e politica la questione dell’aborto che, a trent’anni dalla
legge 194/78 che l’ha legalizzato in Italia, stava fossilizzandosi in tabù.
Con l’Appello per la moratoria sull’aborto, pubblicato in
prima pagina sul Foglio (e riprodotto a p. 25 di questo fascicolo),
finalmente il problema è impostato nei suoi giusti termini antropologici e
morali, non “confessionali”. Finalmente si può mettere in discussione
la legge 194/78 che, in un Paese in cui tutto si discute e tutto si vuol
riformare, Costituzione compresa, sembrava l’unico baluardo intangibile.
Finalmente si può guardare in faccia l’aborto per quello che è, un crimine
generatore di violenza, e fronteggiarlo almeno con misure simboliche come la
proposta di moratoria, preludio di interventi operativamente concreti.
Nell’attuale situazione, dato che in Parlamento non ci sono i
numeri per una riforma sostanziale della 194, occorre insistere affinché almeno
la parte propositiva di quella iniqua legge venga finalmente attuata. Del
resto, al tempo della discussione dell’iniqua legge (l’aggettivo è d’obbligo),
fu proprio la pattuglia dei parlamentari cattolici comunisti (La Valle,
Pratesi, Gozzini, Codrignani) a farne cambiare il nome da Norme sulla
interruzione volontaria della gravidanza a Norme per la tutela sociale
della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza: ebbene, va
considerato eversivo, come invece fanno le ministre Pollastrini e Bindi, con un
codazzo di tardo femministe, esigere la piena applicazione di una legge dello
Stato, in particolare per quanto attiene alla funzione dissuasiva dell’aborto
che i consultori pubblici dovrebbero svolgere, e agli interventi economici per
le madri in difficoltà?
In questo senso possiamo ben dire che “la legge 194 non si
tocca”: in attesa di una maturazione culturale che – per quanto ci
riguarda – questa rivista e le Edizioni Ares da oltre trent’anni stanno promuovendo
pur con i limitati mezzi delle minoranze d’avanguardia, ci si adoperi per
attuare le norme “per la tutela sociale della maternità” che la 194,
pur sempre iniqua, prevede.
E c’è un argomento che vorremmo almeno non più sentire nel
dibattito in corso. Fra i “meriti” della 194/78 ci sarebbe quello di
avere eliminato l’aborto clandestino. Orbene, per il fatto di essere “clandestino”,
su questa specie di aborto non ci possono essere statistiche: le fantasiose
cifre sbandieriate dagli abortisti all’epoca del referendum fanno tuttora
ridere per non piangere. Basti questo semplice ragionamento: nel 2006 gli
aborti legali, in Italia, sono stati 130.033 e, dall’entrata in vigore dell’iniqua
legge gli innocenti sacrificati sono quasi cinque milioni. Vogliamo sostenere
che, in assenza dell’iniqua legge, cinque milioni di donne sarebbero morte
sotto i ferri delle mammane? La verità è che l’aborto legale ha sterminatamente
aumentato il numero totale delle uccisioni, aggiungendosi all’aborto
clandestino che purtroppo si pratica tuttora – come di tanto in tanto indicano
i tragici ritrovamenti nei cassonetti – e che va combattuto anche penalmente,
come l’art. 19 della stessa legge 194/78 prevede. Da recenti sondaggi condotti
in diversi Paesi fra le donne che hanno abortito, risulta che un’elevata
percentuale di esse non vi avrebbero fatto ricorso se l’aborto non fosse stato
legale. Ed è chiaro che ormai l’aborto è prevalentemente praticato per il
controllo demografico. Che il falso e fittizio argomento della
“clandestinità” venga addotto anche da un Massimo Cacciari
intervistato dal Tg1, è un insulto all’intelligenza di Cacciari prima ancora
che all’intelligenza dei telespettatori.
Benedetto XVI ha intitolato Famiglia umana, comunità di pace
il messaggio del 1° gennaio per la Giornata mondiale della pace. “La
famiglia naturale”, ha scritto il Papa, “quale intima comunione di
vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna […] è la prima
e insostituibile educatrice alla pace”. Ebbene, legalizzare la pratica con
cui una madre uccide il figlio che porta in grembo, è la più grave minaccia
alla pace e inocula nella società un veleno di violenza i cui effetti sono,
purtroppo, sotto gli occhi di tutti. Nessuno minimizzi, nessuno resti
indifferente.
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