Finanziaria, superato il primo scoglio Prodi punta alla fiducia

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Finanziaria, superato il primo scoglio Prodi punta alla fiducia

05 Novembre 2007

Una cosa va detta con chiarezza: se mai i cosiddetti “malpancisti” dell’Unione avessero avuto bisogno di una motivazione formalmente sostenibile per affondare il governo nell’aula del Parlamento, Prodi e compagni l’avevano offerta su un piatto d’argento. Presentarsi alla battaglia campale di Palazzo Madama con una previsione di spesa priva della relativa copertura finanziaria e “vidimata” dal sottosegretario interessato in virtù di una sorta di inedita “autocertificazione” è un fatto che non ha precedenti, e tanto sarebbe dovuto bastare ai senatori dissidenti, cinque o dieci o quindici che siano, per staccare la spina all’esecutivo già in fase di votazione delle pregiudiziali di costituzionalità.

Così non è stato. Seppur malconcia, la squadra del Prof ha oltrepassato indenne il giro di boa. E il superamento del primo banco di prova – nonostante la ripetizione del solito penoso spettacolo, con i malati trascinati a votare e i senatori a vita mobilitati in forze – non è un segnale da sottovalutare. Del resto, che anche nel centrodestra questa partenza in salita (per l’opposizione) sia vissuta con una certa preoccupazione lo confermano le parole che il capogruppo Renato Schifani avrebbe detto ai senatori azzurri: “Non c’è da parte di chi ha manifestato in questi mesi più di un mal di pancia il coraggio di staccare la spina a questo governo”.

Lo scenario che a questo punto si intravede al di là dello scoglio delle pregiudiziali di costituzionalità è piuttosto confuso. Di fronte ad una situazione così complessa, decisamente aggravata dalla mancanza di copertura finanziaria, a Palazzo Chigi si sta infatti riaffacciando prepotente l’ipotesi di porre la fiducia sull’intera manovra, forzando ancora una volta le regole istituzionali e disattendendo i reiterati moniti del Capo dello Stato. Per di più con un pretesto – il numero delle proposte di modifica presentate in aula – che non sta in piedi né per logica né per aritmetica, dal momento che nella storia della nostra Repubblica parlamentare da tempo non si ricordava una Finanziaria gravata da così pochi emendamenti.

Durante il dibattito, Schifani e il leghista Roberto Calderoli l’hanno detto a chiare lettere: l’esigenza di porre la fiducia non esiste, né da un punto di vista formale, né da un punto di vista sostanziale. Anche perché la tabella di marcia prevede che in Senato si arrivi al voto finale entro il 14 novembre, e calcolando i tempi di discussione per dibattere sulla Finanziaria ci sarebbero ben otto giorni di tempo, a fronte dei due giorni e mezzo impiegati per il decreto fiscale. Eppure è proprio questa la strada che l’Unione sembra avviata a percorrere.

Il paradosso è che quel voto di fiducia, che fino a pochi giorni fa Prodi temeva come il diavolo, potrebbe rivelarsi ora un viatico per giungere a mangiare il panettone a Palazzo Chigi, rinviando ogni preoccupazione al momento in cui sugli scranni di Palazzo Madama si discuterà il protocollo sul welfare e il rifinanziamento della missione in Afghanistan. I mal di pancia, infatti, ci sono e si fanno anche sentire. Ma siamo sicuri che i senatori “ribelli” se la sentirebbero di negare la fiducia al Professore dopo aver dichiarato costituzionale una Finanziaria priva di copertura per coprire le spese?

Fino a metà di questa settimana naturalmente questo epilogo non può considerarsi scontato. Esiste infatti anche la possibilità che il governo decida di affrontare la navigazione in mare aperto, sottoponendosi allo stillicidio dei circa seicento emendamenti da mettere in votazione (in particolare degli ottanta a firma di esponenti della maggioranza). E in tal caso resta in piedi l’eventualità che l’esecutivo vada sotto a più riprese, convincendo per ragioni opposte le due ali dell’Unione – quella centrista e quella radicale – a decretare pollice verso al momento del voto finale, precipitando Romano Prodi verso il baratro.