Finchè c’è Eco c’è speranza
06 Maggio 2008
di redazione
“Un uomo che vive nel Paese di Berlusconi non può giudicare
gli Usa di Bush”. Questa assurda frase è stata pronunciata nientemeno che da
Umberto Eco nel corso di una conferenza a New York, e a volerla leggere – come l’illustre
semiologo direbbe – nel testo e nel
sottotesto, c’è la chiave della
sconfitta della sinistra nelle scorse elezioni.
C’è in fatti tutto il disgusto verso l’Italia che vota e che
sceglie contro le inclinazioni e le indicazioni dei maitres à penser. Quell’Italia, Eco neppure la nomina: la chiama
il Paese di Berlusconi, un luogo di infamia e sottomissione, in cui paese e
cittadini sono “di” Berlusconi.
Gli italiani sono solo gli altri, quelli che non votano per
il “caimano”, quelli che lo odiano e lo combattono anche se quasi sempre
perdono. Questi italiani soli hanno diritto di parola nel mondo. Solo loro
possono ad esempio criticare Bush, perché con il loro rifiuto per Berlusconi hanno
acquisito il crisma della verità e possono vedere il male lì dove gli altri, i
berlusconidi, sono ciechi. “Chi ha eletto Berlusconi non ha il diritto di
giudicare Bush”, dice dunque Eco che mette e toglie diritti, innalza e
sprofonda, danna e salva.
Non basta la nascita a essere pienamente italiani, non basta pagare le
tasse per essere dotati di tutti i diritti, non basta rispettare leggi e Costituzione per essere veri cittadini. Per essere italiani davvero bisogna
pensarla come Umberto Eco, votare come vota lui, essere come lui.
Poi ci si stupisce se con quegli italiani si perdono le
elezioni.