Fini accusa il Cav. di essere un monarca assoluto e poi fa molto peggio

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Fini accusa il Cav. di essere un monarca assoluto e poi fa molto peggio

14 Febbraio 2011

Gianfranco Fini è un monarchico inconsapevole. E dire che aveva giustificato la sua rottura con Berlusconi accusandolo di "assolutismo". Come tante volte gli è capitato quando era segretario di Alleanza nazionale, non ha perso l’abitudine di prendere decisioni importanti, passando sopra statuti, regolamenti, prassi e organismi collegiali. Gli piace, insomma, fare e disfare organigrammi assecondando i propri interessi, senza tener conto delle regole e neppure, talvolta, delle ragioni di opportunità.

È accaduto così che l’Assemblea costituente di Futuro e libertà invece di concludersi in un clima di armonia, ha ufficializzato le lacerazioni che nei pochi mesi di vita l’hanno profondamente segnata. Senza sentire i delegati, né tantomeno chiedere un voto sulle sue proposte, Fini, subito dopo essere stato acclamato presidente del partito (la procedura la dice lunga sulla singolare visione della democrazia del presidente della Camera) ed essersi autosospeso, perché la sua coscienza istituzionale gli impedisce di svolgere una funzione politica (ma che fine ha fatto l’uomo che conoscevo: una volta aveva il senso del ridicolo!), ha nominato l’on. Italo Bocchino vicepresidente, contro il parere dei suoi stessi più stretti collaboratori i quali non hanno evidentemente gradito la scelta.

In particolare l’on. Adolfo Urso ed il sen. Pasquale Viespoli, presidente dei senatori finiani, hanno appreso la notizia quando erano già a Roma. Naturalmente risentiti, poiché la decisione del loro leader di mettere il partito nelle mani di Bocchino non la condividevano, hanno fatto sapere che reagiranno di conseguenza. La nostra curiosità, francamente, è piuttosto scarsa: innumerevoli volte abbiamo sentito grida furiose nell’ambito del Fli indirizzate contro posizioni dissennate, ma poi non è successo niente. Neppure questa volta accadrà ciò che doveva accadere in altre occasioni, come il giorno della sfiducia al governo, e tanto Urso che Viespoli rientreranno nei ranghi, comprensibilmente irritati. Ma la convivenza, semmai loro ed altri malpancisti non dovessero abbandonare il partito anarchico- monarchico, che piega prenderà con il solo uomo forte di Fli, vale a dire con colui che con maggiore tenacia, perseveranza si è impegnato affinché la frattura tra Fini e Berlusconi si consumasse irrimediabilmente? Intorno a questo interrogativo si dispiegano i malumori di tanti che non hanno digerito neppure la designazione dell’on. Benedetto Della Vedova a presidente del gruppo parlamentare alla Camera: un altro luminoso esempio di democrazia interna. E pensare che qualcun altro ha lasciato le poltrone di ministro, viceministro, sottosegretario per ritrovassi con un pugno di mosche in mano, posto che dal Congresso di fondazione non è uscito un grande progetto politico per il quale valeva la pena immolarsi.

Non a caso lo avevano capito per tempo intellettuali come Alessandro Campi e Sofia Ventura che non avevano fatto mancare nelle ultime settimane critiche serrate alla gestione del Fli, ritenuta avventurosa e priva di prospettiva. Come si conviene ad un monarca assoluto, Fini da sempre allergico al dissenso, ha immediatamente "commissariato" la fondazione FareFuturo della quale Campi è stato il motore negli ultimi due anni e l’ha affidata ad neo- fedelissimo Umberto Croppi, giubilato da Alemanno come assessore alla Cultura. I soliti metodi, insomma, ma finalità politiche diverse sulle quali i "mormoratori" del Fli dovrebbero riflettere più che sui loro casi personali.

Ed il fine ultimo del neo-partitino, oltre contribuire alla cacciata di Berlusconi, è quello di partecipare all’assalto al Palazzo d’Inverno in modo tale da potersi sedere, quando verrà il momento, al tavolo del vincitore insieme con tutti i membri del Comitato di liberazione dal Caimano.

La strategia dalemiana, dunque, grazie all’apporto decisivo di Fini, sta avanzando a rapidi passi. Tutti insieme appassionatamente. Non si capisce bene per fare che cosa, ma qualcosa faranno dopo che avranno dato lo sfratto al Tiranno. Poco male se non riusciranno a governare: questo sembra essere l’ultimo dei loro problemi. Fini l’ha fatto capire evitando accuratamente di dire una sola parola sull’improbabile "dopo". Per adesso importante è affrancassi dalla dittatura dolce che, a suo giudizio, opprimerebbe l’Italia, e mobilitare quanto più possibile le masse (circa un milione di persone su quarantasette milioni di elettori, per adesso: non mi sembra un gran risultato rivoluzionario) sulla questione morale.

Ecco, ci mancava pure il Fini giacobino per completare la sua parabola da neo-fascista a post-tutto. C’è riuscito con un discorsetto che non resterà tra i suoi migliori alla kermesse milanese. Nel quale ha perfino lanciato la provocazione più grottesca che si potesse immaginare, quella delle dimissioni simultanee sue e di Berlusconi. Sarebbe già un bel passo avanti se lui lasciasse l’alto scranno di Montecitorio, ma non lo farà mai poiché da prodotto maturo della partitocrazia sa benissimo che nulla si lascia se non proprio quando si è costretti. Perciò se lasci perdere l’argomento, la battaglia è perduta.

Purtroppo è perduto pure il resto. Vale a dire la possibilità di costruire negli anni a venire un centrodestra coeso e coerente intorno ad un partito saldo nei principi e proiettato nel futuro, almeno nelle forme che era lecito immaginare. Paradossalmente Fini poteva avere un ruolo anche di dissidente, ma nell’ambito di regole condivise, proprio del Pdl. Ha preferito scegliere non la strada più impervia, ma quella che non porta da nessuna parte. O forse arriva al massimo alla vicesegreteria del partito di Casini. Contento lui… Ma chi in lui ha creduto e riposto fiducia, come si sentirà dopo l’ennesimo valzer che si accinge a ballare in numerosa e colorata compagnia?

Una buona notizia, sotto questo cielo grigio, comunque c’è: la destra, o almeno quello che rappresenta, non è finita, non se l’è portata via Fini. È tempo di ricominciare. Un’altra avventura è possibile. Anche se nessuno, al momento, ha in tasca la ricetta. Troppe sono le tessere del mosaico che bisognerà rimettere a posto. Ma i valori, no. Quelli non sono cedibili. Restano come sono e qualcuno, prima o poi, li travaserà in una nuova esperienza politica.