Fini-ambulismi: prima ordina a Fli di tacere poi si schiera con De Magistris

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Fini-ambulismi: prima ordina a Fli di tacere poi si schiera con De Magistris

22 Maggio 2011

L’ordine sui ballottaggi è durato lo spazio di un voto. Il tempo per dire che Fli, a maggioranza, ratifica la decisione terzopolista di non schierarsi né col centrodestra né col centrosinistra. Poche ore dopo, è il capo in persona – Gianfranco Fini – a buttare nel cestino quel voto con un endorsement neanche troppo velato su De Magistris a Napoli. Stranezze futuriste nel secondo round di una campagna elettorale avvelenata che non risparmia tensioni nei due schieramenti, con nuove polemiche tra Pdl e Lega sull’ipotesi di trasferire alcuni ministeri da Roma a Milano.

“E’ difficile dire a un napoletano di votare per Lettieri, un candidato dietro cui c’è l’ombra di Nicola Cosentino”. Se venerdì mattina a Roma Fini gongolava davanti al voto del parlamentino futurista che come un sol uomo (o quasi) ha approvato senza battere ciglio il diktat: nessun apparentamento coi candidati dei due schieramenti ai ballottaggi, ma sia chiaro nessuno può permettersi di dare indicazioni, neppure a titolo personale – nel pomeriggio da Pescara il presidente della Camera è stato il primo a rompere il blindatissimo (in apparenza) ordine di partito.

Una frase che peraltro non ha bisogno di grandi interpretazioni e che da sola basta a dare l’idea del caos che regna nel piccolo partito futurista che da queste elezioni esce con un peso specifico ben al di sotto delle aspettative. Ma al paradosso delle parole di Fini se ne aggiunge un altro che per giorni ha tenuto banco tra i finiani: se per le ‘colombe’ Urso e Ronchi il partito avrebbe dovuto sostenere la Moratti a Milano e Lettieri a Napoli, i pasdaran alla Bocchino e alla Granata rilanciano dicendo come ha fatto il segretario di Fli nell’intervento all’assemblea nazionale di Fli “non possiamo fare la ruota di scorta a Berlusconi”. Viene da domandarsi qual è il criterio finiano: per un anno Fini e i suoi hanno denunciato soprattutto sui media la mancanza di democrazia nel Pdl, rivendicando il diritto della minoranza di manifestare le proprie idee e portarle avanti.

E oggi? Nessuno può mettere in discussione le decisioni del capo. E’ stato anche sul tasto della democrazia interna che poi si è consumato lo strappo definitivo di Bastia Umbra e tutto quello che le cronache fin qui hanno raccontato: le sfiducie ad personam perse in parlamento, le ‘conte’ su alcuni provvedimenti rivelatesi veri e propri boomerang, solo per citare alcuni passaggi. E adesso che succede? Succede che in Fli non è concesso dire cosa si pensa se questo non è conforme al pensiero del capo e della nomenclatura finiana, non è ammesso il dissenso, lo stesso dissenso che per un anno Fini ha definito come “il sale nella minestra” del Pdl.

Lo schema si è ripetuto perfino nel massimo organo collegiale del partito che in realtà si è trasformato nell’ennesimo ‘sfogatoio’ antiberlusconiano dove chi ha preso la parola lo ha fatto per attaccare il Cav. e il Pdl, bypassando analisi e ragionamenti su ciò che un partito i cui vertici continuano a descrivere (a parole) come saldamente ancorato al centrodestra, debba decidere in una sfida strategica come quella per i ballottaggi in due città altrettanto strategiche: Milano e Napoli. E che a ben guardare, tira la volata ai candidati vendoliani e dipietristi ai ballottaggi di domenica prossima.

Urso e Ronchi, fiutando l’aria da trappolone, non hanno partecipato al voto e dopo un po’ hanno lasciato il palcoscenico futurista, rinviando la replica (di fatto il redde rationem) a dopo il test elettorale. Ma neppure questa posizione è andata bene ai presenti che nei commenti del dopo-voto hanno sottolineato come ha fatto Flavia Perina che “l’opposizione interna ha dato forfait” o come ha ribadito, provocatorio, Bocchino che l’assemblea “mette la parola fine a tutte le polemiche interne dal congresso di Milano in poi. Non ci sono pezzi di Fli in dissenso”. Come dire che la linea delle ‘colombe’ finiane non esiste più, o meglio non conta più.

Alla faccia della democrazia interna, del rispetto delle posizioni divergenti, del diritto di espressione, di quel partito-caserma che Fini ha contestato per mesi a Berlusconi. Oggi è chiaro che in Fli decide solo Fini, salvo poi trasgredire ciò che ha appena deciso.

Nuove fibrillazioni nella maggioranza. E’ ancora la Lega ad alzare la posta e l’ennesimo vespaio di polemiche con Bossi che chiede di trasferire da Roma a Milano due ministeri di peso. Dal Pdl arriva uno stop e Alemanno chiede un incontro urgente al Cav. Ma il Senatur conferma di aver ricevuto l’ok da Berlusconi.  Da parte sua, il premier getta acqua sul fuoco delle polemiche sottolineando che si può ragionare sul trasferimento nel capoluogo lombardo solo di alcuni dipartimenti. Vedremo nelle prossime ore se le frizioni troveranno una composizione.

Resta il fatto che a una settimana dal voto il clima si fa incandescente e i toni anziché abbassarsi, moltiplicano i decibel. E come se non bastasse c’è chi pensa – come accaduto a Milano – di zittire l’avversario con la violenza: l’aggressione alla militante del Pdl da parte di una decina di persone che avrebbero indossato gadget per Pisapia, è la conferma di un clima avvelenato dove la contrapposizione ideologica viene prima di quella sui contenuti, sulle proposte per il futuro della città. Se questo è il nuovo moderatismo…