Fini, Casini e Rutelli sfiduciano il governo ma il Cav. va alla conta
03 Dicembre 2010
Finale di partita a sorpresa. Zero certezze, ipotesi a bizzeffe. Mai come questa volta le opzioni si avvitano su scenari di una crisi senza scenari. Nebbia densa sullo scacchiere della politica dove continuano a muoversi pedine ma senza una direzione netta che possa far capire o solo intuire come finirà – se finirà – il 14 dicembre in Parlamento.
A dodici giorni dal d-day cosa c’è sul piatto? Ci sono due elementi. Uno chiaro, l’altro non ancora o non completamente. La cosa certa, da settimane, è la linea della maggioranza: fiducia o voto. Da ieri e dopo giorni di annunci, fughe in avanti e dietrofront, anche Fini, Casini e Rutelli hanno calato le carte dopo il vertice a Montecitorio nell’ufficio del presidente della Camera (dov’è finita l’etica della politica e il rispetto delle istituzioni tanto caro ai futuristi?): mozione comune di sfiducia.
Non ancora depositata, per la verità, anche se viene data per imminente (nei prossimi giorni) con annesso pallottoliere sui numeri da propagandare come ‘certissimi’ – “siamo a 317 voti insieme a quelli della mozione di Pd e Idv” contro i 310 di Pdl e Lega, sentenzia Bocchino – e snocciolati davanti ai cronisti per dire al Cav. che gli conviene dimettersi per non rischiare la debacle a Montecitorio. Tattiche, appunto perché nonostante i proclami e le firme in calce alle mozioni (ne sono state annunciate 85), ciò che contano sono i voti in Aula.
Finiani e centristi ieri hanno mostrato i muscoli, lasciando aperta la porta al Berlusconi-bis ma solo dopo le dimissioni. L’ufficio politico nel quartier generale di Farefuturo ha messo a confronto falchi e colombe. Riunione ‘calda’ (Moffa e altri moderati poco convinti di staccare la spina al governo, la Polidori incerta fino a metà pomeriggio) poi il capo ha ribadito il dicktat e tutti si sono adeguati. Tutti meno Catone, deputato arrivato a Fli dal Pdl e ora in procinto di tornarci.
Certo, se le ragioni della sfiducia stanno nelle parole che Filippo Rossi mette in fila sul webmagazine finiano (evidentemente col placet del presidente della Camera) si capisce come in realtà la sfiducia politica c’entri ben poco, qui piuttosto si tratta di sfiducia personale. E in questo l’asse Fini-Casini è perfetto. Ma se questo è, il discorso cambia e gli interessi del paese che tanto stanno a cuore ‘all’area di responsabilità nazionale’, restano sullo sfondo.
La retorica del finiano Rossi aiuta a far chiarezza: “ Proteste avere fiducia in una persona che se ne va in giro a fare le corna? E dareste fiducia a uno che sorride sempre, anche se non c’è niente da ridere? E a uno che dice ‘meglio playboy che gay?’ Chi di voi – chiede il finiano puro e duro – avrebbe fiducia in un anziano che ama farsi accompagnare da ragazzine diciottenni? E chi, ancora, può aver fiducia in un vecchio che vuole essere e sentirsi giovane a tutti i costi? Gli affidereste il destino di vostra figlia? E dareste la fiducia a uno che dice di una ragazza in coma ‘può ancora avere figli?’ E a uno che dà del coglione a chi non lo vota?
E giù con altri interrogativi, fino alla chiosa che suona come un verdetto, secondo il più classico dei repertori dell’antiberlusconismo: “Non sappiamo se il parlamento sfiducerà il governo Berlusconi ma sappiamo che la maggioranza degli italiani non ha fiducia in Silvio Berlusconi”.
Se questa è la logica, perché mai Berlusconi che ha stravinto le elezioni si dovrebbe dimettere, magari puntando a un reincarico che in un contesto del genere appare un salto nel buio? Forse perché Fini e Casini gliel’hanno giurata da tempo e ora provano a buttarlo giù? Forse perché è antipatico a Filippo Rossi e ai futuristi e pure agli ex dc?
Ancora: se centristi, finiani e apini sono così certi di avere numeri incontrovertibili dalla loro parte, perché insistono tanto nel chiedere al Cav. di farsi da parte, invece di andare fino in fondo facendo cadere il governo in Parlamento? La coerenza imporrebbe di procedere indipendentemente dalla volontà del premier, ma il punto è che Udc, Fli e Api non vogliono le elezioni e non tanto perché in ballo ci sono le sorti dell’Italia quanto perché misurarsi col responso delle urne è molto più impegnativo che evocare un giorno sì e l’altro pure, il governo tecnico, di transizione, di responsabilità nazionale e lavorare per arrivarci.
Una via di fuga senz’altro più agevole, ma i conti non si fanno senza l’oste. E l’oste, cioè il Cav. anche ieri ha detto che non intende fare alcun passo indietro e bollato come ‘irresponsabile’ l’accelerazione del trio finian-centrista-rutelliano verso la sfiducia (per la Lega Fini ha fatto un grande errore politico). In altre parole, non vuole essere lui a togliere le castagne dal fuoco a Fini e Casini rimettendo il mandato nelle mani di Napolitano il 14 dicembre, o addirittura qualche giorno prima o subito dopo il passaggio al Senato, stando alle ipotesi che stanno circolando in queste ore nei palazzi della politica.
Un modo – secondo il ragionamento dei terzo polisti – per evitare lo scivolone alla Camera. In realtà, l’unico modo che potrebbe aprire la strada al ribaltone. Lo scenario evocato prevede due opzioni. La prima: Berlusconi si dimette prima del passaggio a Palazzo Madama e apre una fase nuova della politica “alla quale può partecipare” spiega Casini facendo intendere – ma senza dirlo chiaro – la possibilità di un Berlusconi-bis con contestuale rimpasto di governo e ingresso di Udc e Fli a Palazzo Chigi (per il presidente della Camera si ipotizzerebbe la poltrona della Farnesina) .
La seconda opzione ipotecherebbe addirittura la fiducia al Senato e in questo scenario Pisanu sarebbe indicato come l’uomo-cerniera coi centristi. E’ su questa suggestione che secondo gli auspici dei terzo polisti si potrebbero creare le condizioni per un governo alternativo, magari affidato allo stesso Pisanu o al ‘tecnico’ Draghi. Suggestioni, appunto. Per la maggioranza, “vera e propria fantapolitica”.
Il punto è che il Cav. non si fida degli ex alleati e non vuole cadere in quello che il Pdl definisce un ‘trappolone’. Il premier resta fermo sulle sue posizioni: la partita se la vuole giocare fino in fondo e in Parlamento, mettendo Fini, Casini, Rutelli, Lombardo e i loro uomini di fronte alla responsabilità politica di far cadere un governo eletto democraticamente dalla maggioranza degli italiani. E’ per questo che nelle fila della maggioranza si confida nel fatto che alla fine, tra assenze, defezioni e voti ancora tutti da verificare, la fiducia ci sarà anche alla Camera.
Certo, bisognerà vedere con quali numeri e con quali garanzie per una navigazione tranquilla, ma è altrettanto vero che superare la prova di Montecitorio da un lato significherebbe spezzare l’asse Fini-Casini e neutralizzare il progetto terzo polista, dall’altro servirebbe a guadagnare tempo studiando una via d’uscita per evitare nuovi ‘agguati’ in Parlamento.
E nel giorno in cui Fini, Casini, Rutelli e Lombardo brindano al modello Sicilia esportabile a Roma, ci sono già segnali che la dicono lunga sull’amalgama che dovrebbe ‘salvare’ l’Italia. Il capogruppo di Fli al Senato Viespoli dice a Casini che il leader naturale del terzo polo è Fini perché non sarebbe giusto che altri si infilassero in quello che i futuristi rivendicano di aver costruito fin qui. Casini, invece, dice che non c’è alcun terzo polo ma una nuova proposta politica.
E per finire, il presidente della Camera stigmatizza l’attuale fase politica nella quale evidenzia “il trionfo della tattica” e lamenta “l’assenza di strategia”. Scricchiolii e paradossi terzo polisti, prima ancora del decollo.