Fini chiede la testa del Cav. che replica: “Vado avanti, mi voti contro in Aula”

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Fini chiede la testa del Cav. che replica: “Vado avanti, mi voti contro in Aula”

07 Novembre 2010

Gianfranco Fini non stacca la spina ma aziona il timer. Non esce dal governo ma pone le condizioni per farne uno nuovo, con un nuovo programma e una nuova maggioranza parlamentare allargata a Casini. Non dice però se con o senza Berlusconi. Né un sì né un no, come gli chiedeva il Pdl dopo la direzione nazionale, perché Fini opta per l’ennesimo rimpallo. Anche se stavolta la partita a ‘ping pong’ potrebbe avere tappe più serrate e culminare nel ritiro della delegazione finiana dal governo e l’appoggio esterno.

E’ la prossima mossa che il capo di Fli minaccia in attesa che Berlusconi “dica cosa vuole fare”. E la risposta arriva a stretto giro: il premier parlando ai suoi rimette la palla nel campo futurista. Niente dimissioni  – è il concetto di fondo – e se Fini vuole aprire la crisi, vada in Parlamento e voti contro il governo assumendosene la responsabilità politica. Esattamente ciò che nel pomeriggio scrivono in una nota congiunta i capigruppo di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri: “Non è accettabile la richiesta di dimissioni del governo dopo un voto di fiducia il cui rilievo politico è stato chiaro a tutto il Paese. E’ quindi il parlamento il luogo dove ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità con scelte chiare davanti agli italiani e non con riti impropri che, specie chi ha ruoli istituzionali non dovrebbe invocare”.

L’avviso di sfratto a Palazzo Chigi arriva da Perugia dove il capo di Fli ‘cede’ ai falchi e ufficializza la rottura in due parole: Berlusconi dimettiti. E’ la condizione che fissa dopo aver stracciato il patto di legislatura (zeppo di paletti tra i quali quello di rimettere mano alla legge elettorale) che tre giorni fa il premier gli ha offerto sui cinque punti programmatici votati dagli stessi futuristi in Parlamento. I termini di quell’accordo li riscrive davanti al suo popolo che s’infiamma a ogni stoccata indirizzata al Cav. e rifilata quasi in tono dispregiativo, confermando una volta di più che il suo vero obiettivo è archiviare Berlusconi e il berlusconismo aprendo una nuova fase politica che passa dalla rifondazione del centrodestra e dalla leadership alla quale fin d’ora si candida.

Ma se si guarda in controluce, nel discorso di Fini ci sono paradossi grandi come una casa. Sul piano istituzionale è il presidente della Camera (nonché capo del partito di maggioranza che apre la crisi) a chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio invitandolo a salire al Colle. E da chi come lui è sempre stato uno strenuo difensore del rispetto per le istituzioni e della centralità del Parlamento, la mossa rivela una contraddizione di fondo. Contraddizione che Gaetano Quagliariello evidenzia quando dice che a Perugia “si è prodotto uno sbrego istituzionale al cospetto del quale impallidisce perfino quello che a suo tempo provocò la marcia su Roma”, perché incalza il vicepresidente dei senatori Pdl “non si era mai visto che ministri e altri componenti dell’esecutivo rimettessero il loro mandato nelle mani del presidente della Camera. Siamo alla più assoluta confusione dei poteri e oggi si comprende meglio quanto fossero fondate quelle preoccupazioni sulla incompatibilità tra il ruolo di fondatore di un partito scissionista e il ruolo di terza carica dello Stato, che sarebbero inevitabilmente entrati in conflitto”.

Non solo, l’affondo di Quagliariello tocca un altro aspetto non meno importante: un presidente della Camera che chiede l’apertura di una “crisi extraparlamentare”; mentre proprio il suo ruolo isitituzionale gli imporrebbe di "adoperarsi  affinché eventuali crisi di governo siano sancite in Parlamento”. E il paradosso dei paradossi è che se ci sarà la crisi “il presidente Napolitano si troverebbe nella spiacevole condizione di dover ascoltare Fini sia nella veste di presidente della Camera sia nelle veste di leader del partito che ha provocato la crisi".

Sul piano politico, l’ex leader di An non boccia i contenuti ma il metodo. Il tutto dosando toni, passaggi, riferimenti come in un crescendo rossiniano. Ad esempio evita con cura ogni riferimento al capitolo della giustizia, evidentemente per non dare alibi al Cav. sull’accusa (o il sospetto) di essere in combutta con le procure, ma si concentra su quelle che considera vere priorità dell’agenda politica: economia e disagio sociale. Passaggio che in molti nel Pdl leggono con una certa preoccupazione perché potrebbe essere proprio questo “l’incidente” di percorso in Parlament o per liquidare il governo Berlusconi.

Nei rumors di Palazzo infatti, si ventila l’ipotesi che il redde rationem potrebbe avvenire sull’esame del patto di stabilità (nel quale è inserito il decreto Tremonti per lo sviluppo) già incardinato in commissione Bilancio e rispetto al quale i finiani potrebbero decidere di votare con le opposizioni, mandando sotto l’esecutivo.  E il fatto che proprio da Perugia Fini riprenda con forza la sollecitazione sui temi economici (riconoscendo a Tremonti il merito di tenere i conti pubblici in ordine ma stigmatizzando i ‘tagli lineari’ e dunque ancora una volta il metodo) appare come una velata anticipazione di ciò che potrebbe accadere.

Ma quali sono gli scenari che si profilano? La settimana che si apre sarà quella decisiva per le sorti della legislatura e fin d’ora sia tra i futuristi riuniti a Perugia che nelle file della maggioranza c’è la convinzione che a marzo si voti. Le opzioni sono sostanzialmente due. La prima Berlusconi non si dimette, Fini ritira la delegazione dal governo, si apre la crisi e a quel punto, come anticipa Quagliariello “ci sarà un altro passaggio in Parlamento per chiedere la fiducia”. Solo dopo, e verificato l’esito del voto, il premier potrebbe salire al Colle. La seconda (data per più probabile) è che Berlusconi vada avanti e decida di sostituire i quattro esponenti finiani nell’esecutivo (Ronchi, Urso, Menia e Buonfiglio) con nomi del Pdl, da un lato tentando di blindare la maggioranza a Palazzo Madama, dall’altro lasciando a Fini la responsabilità di staccare la spina in Aula e anche in questo caso dopo un nuovo voto di fiducia.

Fini parla alla platea futurista per quasi due ore.  Nel padiglione della Fiera dove sono assiepate oltre quattromila persone (secondo gli organizzatori) esplode un boato quando il presidente della Camera pronuncia la frase che il popolo futurista attendeva: “Berlusconi deve rassegnare le dimissioni, salire al Colle, dichiarare che la crisi è aperta di fatto e avviare una fase in cui si ridiscute l’agenda, il programma, e verificare la natura della coalizione”. Altrimenti, “se non ci sarà questo colpo d’ala, se prevarranno i cattivi consiglieri – e quanti cattivi consigli gli hanno dato (sospira ironico Fini, ndr) – tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Se così sarà, i nostri rappresentanti nel governo non resteranno un minuto di più”. Promessa anticipata dai quattro finiani al governo, direttamente sul palco prima del suo intervento. Il capo di Fli ripete di non voler fare il gioco del cerino o di chi stacca la spina” dal momento che “se continueranno furbizie e tatticismi saranno gli italiani a staccare la spina, perché sono stanchi di un governo che non governa”.

E per non staccare la spina, per andare “oltre il compitino del Patto di legislatura”, un Fini sferzante nei confronti del Cav. riscrive i termini del patto di legislatura. Cinque i punti toccati per il rilancio economico: ricerca e innovazione, sburocratizzazione della Pubblica amministrazione e nuove regole per gli appalti pubblici. Ancora: “legare il salario alla produttività, concentrarsi in una, due e non piu’ opere infrastrutturali, le risorse sono poche” e infine la “fiscalità di vantaggio per il Sud, prevista ma rimasta lettera morta, per fare in modo che il Sud sia attrattivo per imprese che de localizzano altrove”. In sostanza ciò che Berlusconi ha confermato alla direzione nazionale del Pdl e che sul fronte del lavoro, ad esempio il ministro Sacconi sta facendo.

C’è poi il federalismo e qui Fini manda un messaggio indiretto alla Lega facendo intendere che non si metterà di traverso anche se mette tra le condizioni l’istituzione del Senato delle Regioni, per completare la riforma federale dello Stato. Nel resto del discorso, Fini alterna dure critiche a un “Pdl arretrato che va a rimorchio della peggiore cultura della Lega, a cui non interessa nulla di ciò che accade dal Po in giù”, a indignazione – pur senza mai citarlo – verso il Cav. considerato artefice di un “decadimento morale” provocato dalla “perdita del decoro, del rigore dei comportamenti di chi è chiamato ad essere d’esempio come personaggio pubblico”.

Quanto a Fli, il presidente della Camera traccia la road map da qui alla kermesse di Milano, quando il simbolo che oggi campeggiava sullo sfondo del palco sarà il vessillo del nuovo soggetto politico. Non sarà l’ennesimo partitino per “lucrare su rendite di posizione bensì un progetto ambizioso: ricostruire il centrodestra”, assicura. Il popolo futurista è entusiasta, tantissimi “era ora” i commenti più diffusi. Alla fine, anche le ‘colombe’ finiane che avrebbero voluto approfondire il patto col Cav. si adeguano alla scelta del capo e al rito collettivo.

Ma la sintesi della giornata forse sta nella frase di un vecchio militante aennino, ex Msi, che lasciando la kermesse cita una frase di Gramsci: “Il vecchio non è ancora morto e il nuovo non è ancora arrivato”. Messaggio futurista per Fini?