Fini chiede più equilibrio tra poteri. Il Pdl rilancia la riforma dei regolamenti

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Fini chiede più equilibrio tra poteri. Il Pdl rilancia la riforma dei regolamenti

03 Agosto 2009

Il presidente della Camera chiude Montecitorio per ferie e riapre il capitolo dei rapporti esecutivo-parlamento. “Il governo deve essere consapevole che nel Parlamento nessuno vuole limitare il diritto-dovere di governare che una maggioranza ha. Al tempo stesso nessuno da parte del governo può pensare di non doversi confrontare con il Parlamento, né di poter esautorare il Parlamento dal diritto-dovere di controllare”, ammonisce Fini nell’intervista per il canale satellitare della Camera a Beppe Leone, capo ufficio stampa di Montecitorio, dedicata al consuntivo dei primi quindici mesi di legislatura.

Pur riconoscendo che il contrasto tra il ricorso dell’esecutivo ai decreti e in particolare ai maxi-emendamenti con voto di fiducia non è un’anomalia dell’attuale governo bensì  è questione che sta nel dibattito politico “da almeno due o tre legislature”, la terza carica dello Stato rileva che se non si rispetta e si tiene “nel dovuto conto il lavoro delle commissioni, l’Assemblea si vede di fatto esautorata del diritto-dovere di discutere e intervenire e, se vuole, di emendare”. Una questione, annuncia , che dovrà essere affrontata nella giunta del Regolamento parlamentare.

Nel merito, Fini pone un problema reale e da tutti condiviso, maggioranza in testa:  la pratica ricorrente del maxi-emendamento e della fiducia è una “patologia” del nostro sistema e che oggi impone un intervento correttivo non più rinviabile. Sul piano politico, la sostanza è un’altra: se la revisione dell’impianto su cui si basano iter delle leggi e rapporti governo- parlamento è considerata necessaria e urgente al punto che sia al Senato che alla Camera i vertici dei gruppi Pdl (Gasparri-Quagliariello e Cicchitto-Bocchino) hanno da tempo depositato proposte ad hoc,  proprio a Montecitorio la giunta per il regolamento parlamentare finora non ha affrontato l’argomento.  Fini  fa capire che a settembre si occuperà del “dossier” e c’è da augurarsi che il ritardo accumulato sulla tabella di marcia venga superato.

Sono tre i punti cardine attorno ai quali ruota la road map della riforma proposta dal Pdl alle Camere:  la limitazione dell’uso dei decreti legge, il rafforzamento del ruolo del governo nelle due Camere (dalla ridefinizione dei meccanismi di programmazione dei lavori delle assemblee, alla previsione di una procedura di esame parlamentare speciale per i disegni di legge del governo che rappresentano l’attuazione del programma di legislatura, all’ipotesi di ddl prioritari per i quali il governo può chiedere durante l’esame in Aula che venga posto in votazione il proprio testo dell’articolo e se approvato automaticamente vengono respinti tutti gli altri emendamenti) , il superamento della frammentazione parlamentare e il consolidamento del ruolo dell’opposizione.

Dal ’94 ad oggi l’affermazione di una dinamica sostanzialmente bipolare con alternanza tra i diversi schieramenti politici che specie nel 2008 ha accentuato la tendenza al bipartitismo (l’indicazione sulla scheda elettorale del capo della coalizione comporta di fatto l’investitura diretta del premier) ha profondamente cambiato il sistema politico-istituzionale. Tuttavia l’ancoraggio ad uno schema che ha mostrato i suoi limiti proprio perché calibrato sull’instabilità dei governi che da De Gasperi in poi si sono succeduti e il mancato adeguamento della Costituzione al nuovo contesto, hanno  penalizzato il ruolo del governo che non dispone di strumenti adeguati tali da consentire l’attuazione del programma per il quale lo stesso esecutivo ha ricevuto il mandato dagli elettori. In quest’ottica, la pratica della decretazione e del voto di fiducia spesso si rivela come l’unica opzione efficace sulla quale l’esecutivo può fare affidamento per accelerare i tempi di approvazione delle leggi e dare così seguito al pieno compimento del mandato ricevuto dagli elettori sulla base di un programma di governo. Ma è innegabile che oggi quest’anomalia vada superata e corretta.

Oltre a quelle del Pdl, alle Camere ci sono le proposte di legge firmate dal Pd e dalla Lega.Tutte intervengono su almeno cinque punti: la limitazione del ricorso ai decreti da parte del governo (anche se il Pdl prevede un ampio spazio di discussione su argomenti indicati dal governo) a fronte di una velocizzazione dei lavori d’Aula e di una maggior utilizzo delle commissioni per la redazione dei testi, un ripensamento del ruolo dell’opposizione e  come detto – la riduzione della frammentazione dei gruppi parlamentari. Il confronto a settembre ripartirà da qui.  

La raccomandazione del presidente della Camera proprio nel giorno in cui il Capo dello Stato firma il dl anticrisi e il provvedimento correttivo, accende il dibattito politico. Da un lato il partito di Di Pietro con Donadi attacca frontalmente (“le parole di Fini sono una colossale ipocrisia”); dall’altro il Pdl si concentra  sulla necessità di rimettere mano alle regole.  Il vicepresidente vicario dei senatori Gaetano Quagliariello coglie “il senso positivo” delle dichiarazioni di Fini “per rilanciare la riforma dei regolamenti parlamentari». Sottolinea che “in Senato è ancora pendente la presentazione di una relazione in proposito che a questo punto diventa urgente”. Per rendere “la nostra democrazia davvero moderna ed efficiente, e affinchè il rapporto tra governo e Parlamento funzioni nell’interesse del Paese, il governo deve poter contare su tempi certi per l’approvazione dei provvedimenti che caratterizzano il programma per il quale si è impegnato di fronte agli elettori, la maggioranza deve poter avere spazi certi di confronto con il governo, e l’opposizione la possibilità di parlare ai cittadini e presentare le proprie proposte alternative”, osserva l’esponente del Pdl per il quale “il profondo mutamento del quadro politico che si è verificato dal 1994 a oggi, e in particolare con le elezioni del 2008, deve finalmente trovare una sua traduzione nelle regole istituzionali che nella forma delineano ancora un’Italia che non c’è più".
 
Il presidente dei senatori del Pdl Gasparri auspica la riforma entro la fine dell’anno, tuttavia – seppure indirettamente –  a Fini ricorda che “la lungaggine dei lavori facilita il ricorso alla fiducia ed a procedure che, indubbiamente, limitano il confronto parlamentare. Ma le maggioranze, che sono legittimate dal voto popolare, hanno il diritto-dovere di attuare il proprio programma e i regolamenti parlamentari non possono impedire questa suprema forma di democrazia che è la concreta attuazione, attraverso le norme, della volontà popolare che si esprime con il voto”. Altrimenti il rischio concreto è di perpetuare “una discussione tra governi, parlamenti e democrazia diretta. Le proposte sono sul tappeto”.
 
Sulla stessa lunghezza d’onda il commento di Cicchitto e Bocchino che biasimano la posizione del partito di Di Pietro “alla ricerca ossessiva dello scontro politico su ogni materia, come confermano le parole di Donadi” contro Fini che invece “ha posto il problema di trovare un giusto equilibrio tra i poteri del Parlamento, che deve discutere ogni provvedimento approfonditamente in un aperto confronto tra maggioranza ed opposizione, e quelli dell’esecutivo, che ha la necessità di prendere rapide decisioni in un mondo dove ogni evento ha sviluppi assai veloci”.  Bocchino osserva che solo “dall’Idv può venire l’accusa di faziosità a Fini, la cui imparzialità è sotto gli occhi di tutti e a farne le spese sono stati finora maggioranza e governo, a cui Fini non ha fatto sconti”. Anche la Lega con il capogruppo a Montecitorio Cota si dice d’accordo sulla riforma dei regolamenti parlamentari, così come dalle file della minoranza conferma l’Udc. Il Pd, invece, sceglie la via attendista. Da parte sua, il governo apprezza la sollecitazione della terza carica dello Stato e auspica l’iter di riforma da settembre anche se ribadisce che si tratta comunque di una prerogativa di Palazzo Madama e Montecitorio.

E se l’opposizione prova a strumentalizzare le parole del presidente della Camera, il consuntivo del primo scorcio di legislatura parla chiaro: su 126 provvedimenti deliberati dal Consiglio dei ministri, 88 sono stati approvati definitivamente dalle Camere, mentre nello stesso periodo il governo Prodi aveva prodotto 165 provvedimenti di cui soltanto 51 approvati dal parlamento. E ancora: 96 le leggi approvate contro le 56 del precedente esecutivo. L’incremento riguarda sia quelle di iniziativa governativa (80 a 45) che quelle di iniziativa parlamentare (11 a 8). Ma è sul capitolo decreti legge che gli strali dipietristi cadono nel vuoto perchè  in questa legislatura tra le proposte del governo diventate leggi, i decreti (30) sono stati meno dei disegni di legge (50) a differenza di quanto avvenuto durante il governo Prodi (23 dl e 22 ddl).

Quanto al ruolo delle due Camere nella fase di conversione in legge dei decreti, in quindici mesi il parlamento è intervenuto su tutti i provvedimenti del governo, apportando 1012 modifiche. Sono stati 158 gli emendamenti dell’opposizione approvati, pari al 16% del totale delle modifiche. Dato confermato anche dai correttivi ai ddl ordinari: su 1448 modifiche complessive, una su tre è stata promossa dall’opposizione e approvata dall’Aula. Un ultimo dato non meno importante riguarda i tempi di approvazione delle norme (calcolati dalla data di presentazione a Camera e Senato): per i ddl sono stati impiegati 242 giorni, mentre per la conversione dei dl ce ne sono voluti 52 e 80 per le ratifiche dei trattati internazionali.