Fini dà lezioni di corrente ai suoi ma incassa critiche e le prime defezioni

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Fini dà lezioni di corrente ai suoi ma incassa critiche e le prime defezioni

26 Aprile 2010

A Roma Gianfranco Fini fa il punto coi fedelissimi, assicura lealtà a maggioranza e governo,  raccomanda equilibrio a chi d’ora in poi farà dichiarazioni in tv o sui giornali, lancia l’idea di un seminario per illustrare le piattaforma programmatica della "fase due" che immagina per il Pdl. Ma incassa critiche e le prime defezioni: Laboccetta non lo ne seguirà e Menia gli domanda "dove andiamo a sbattere?".

A Milano Berlusconi tiene a distanza lo scontro con l’ex leader di An, si concede solo la risposta a una domanda sul segreto dei matrimoni inossidabili in politica: "Per litigare bisogna essere in due ma per divorziare ne basta uno". Quanto serve a confermare che non ha alcuna intenzione di fare sconti al presidente della Camera, specie dopo il duro botta e risposta in direzione nazionale. Il Cav. tiene il punto, aspetta di vedere Fini e i suoi alla prova dei fatti, cioè il voto alla Camera sugli atti del governo. Intanto nel Pdl esplode il "caso Bocchino" che al Corsersa annuncia, con un tempismo un pò sospetto, le proprie dimissioni da vicecapogruppo alla Camera.

La pattuglia dei finiani affronta la prima riunione di corrente. Poco meno di una quarantina i parlamentari (meno della volta precedente anche se all’appello mancavano alcuni assenti giustificati tra i quali Urso) presenti nella Sala Tatarella, col capo che ripete di voler stare nel Pdl per rafforzarlo. Per il resto, il presidente della Camera conferma il clichè usato alla direzione nazionale, con le critiche alla Lega (federalismo) e l’intenzione di potenziare il tasso di democraticità nel Pdl.

Ma non tutto fila liscio nelle quattro ore di dibattito, perché le perplessità sul disegno finiano ci sono, eccome. L’atto di fedeltà al capocorrente da solo non basta. Serve il progetto, la strategia, la direzione lungo la quale incardinare la "fase due". Altrimenti, dove andiamo a sbattere? L’interrogativo non è del berlusconiano di ferro che guarda di sguincio la neonata corrente in un partito che da Statuto non contempla le correnti, ma di Roberto Menia. Il sottosegretario all’Ambiente è uno dei finiani più convinti, uno dei cosiddetti "falchi", di quelli che non hanno gradito la retromarcia del presidente di Montecitorio sulla costituzione di gruppi parlamentari autonomi. E infatti gli domanda: "Siamo passati da ipotesi di gruppi autonomi a una non definita area di minoranza. E Fini, da leader di An a capo di una piccola minoranza, ne valeva la pena".

Menia ne ha anche per la pattuglia di intellettuali che "spinnano" l’ex leader di An, a cominciare dai "vari Campi (il riferimento è al direttore di Farefuturo, ndr) che parlano di governi tecnici, perché siamo leali al governo e non ribaltonisti". Non è un passaggio secondario questo, bensì il segnale che pure tra i finiani duri e puri non tutto nell’iniziativa dell’ex leader di An è ancora chiaro. Soprattutto non si comprende l’orizzonte al quale Fini guarda – è il ragionamento di alcuni parlamentari d’area – nè perché la "linea la debbano dettare certi intellettuali che sui giornali ipotizzano improbabili governi tecnici di cui non si capisce la ratio".

Nel mirino c’è ancora Campi e i suoi scenari da "Cln" che vaticina sui giornali aprendo così nuovi fronti di polemica nel Pdl e offrendo – come è successo – una sponda a Bersani. Non solo: una certa insofferenza tra i finiani (per non parlare della maggioranza del Pdl) riguarda anche l’iperattivismo mediatico di Italo Bocchino che nell’intervista al Corsera annuncia la lettera di dimissioni dall’incarico, salvo poi aggiungere che la discuterà in un incontro con Verdini e Berlusconi. Metodo alquanto anomalo visto che è l’assemblea del gruppo parlamentare a designare presidente e vicepresidente, ma il punto è un altro: se uno vuole dimettersi lo fa e basta. Non lo annuncia, "tantomento lo tratta", fanno notare nei ranghi del partito, diviso tra coloro che invocano una soluzione drastica e quelli che optano per la linea attendista rispetto alle mosse dei finiani.

Ieri Bocchino ha confermato l’intenzione e oggi dovrebbe consegnare "brevi manu" la lettera a Cicchitto, ma la sensazione di molti suoi colleghi di partito è che si tratti di una tattica per farsele respingere. Oppure di un messaggio in codice per lo stesso Cicchitto: i finiani infatti, sostengono che secondo una clausola del regolamento dei gruppi parlamentari, presidente e vicepresidente sono stati eletti in ticket e questo fa sì che i loro destini siano legati a doppio filo. Nel vertice con Finil, Bocchino avrebbe ributatto la palla nel campo dei berlusconiani (della serie: adesso tocca a loro darci una risposta), quasi a sfidare la controparte.

Sul da farsi, Amedeo Laboccetta, altro finiano doc non ha dubbi: "E’ un uomo di rottura. Ha fatto una lettera di dimissioni che in realtà è finta e secondo me dovrebbe dimettersi veramente. In ogni caso io non mi faccio rappresentare da lui". C’è dell’altro: Laboccetta si smarca da Fini, gli ripete che quella della corrente è un’idea sbagliata e che lui non lo seguirà perché "questa fase non mi convince; nel Msi ho fatto parte della corrente dei romualdiani e non penso che questa sia la strada da percorrere".

Sono le stesse convinzioni che il deputato napoletano aveva manifestato a Fini prima della direzione nazionale, in una cena conclusasi alle due di notte con il "capo" irremovibile e intenzionato a fare il controcanto al Cav. restano nel Pdl. Oggi vedremo se Bocchino consegnerà la sua lettera a Cicchitto e se la maggioranza del partito deciderà di metterlo in mora o meno. Un fatto è certo: è il gruppo che decide e su 270 deputato, i fedelissimi dell’inquilino di Montecitorio sono poco più di una ventina.

Da parte sua, Fini non vuole forzature, tutt’altro, e lo si capisce dalle raccomandazioni che rivolge ai suoi sulla linea da tenere coi media. Nessuna fuga in avanti, tantomento toni alti o frasi che potrebbero essere equivocate: una mossa per non dare l’impressione che la sua corrente sia una testa d’ariete dentro il partito, pronta a sabotare il governo. Per questo al termine della riunione  si decide che ci saranno due "coordinatori" (uno per la Camera ed uno per il Senato) che faranno da portavoce per evitare che si vada in ordine sparso sui temi più delicatil, a cominciare da quello della giustizia per il quale la finiana Giulia Bongiorno chiede di essere sempre consultata preventivamente. E comunque, il grosso della comunicazione spetterà al presidente della Camera che da qualche giorno ha inaugurato un tour televisivo per spiegare le ragioni della sua iniziativa. Prima da Lucia Annunziata "In 1/2 ora", stasera da Floris a "Ballarò".

Per ora la versione del Fini politico se da un  lato crea irritazioni tra i pidiellini perché "c’è incompatibilità con il ruolo istituzionale di presidente della Camera", dall’altro "conquista"| il placet dei piddì. Come nel caso di Franceschini che telefona a Fini esortandolo a difendere il bipolarismo. Eppure riferiscono fonti vicine al presidente della Camera, l’apprezzamento del capo della minoranza democrat lo avrebbero lasciato perplesso, al punto che si sarebbe chiesto come mai Franceschini su questo punto stia con Berlusconi. Passaggio non irrilevante che dimostra due cose. La prima: Fini non sarebbe tanto più convinto dello schema messo in campo due anni fa, specie nell’ottica del dopo-Berlusconi (con Tremonti dato tra i "papabili" e dunque suo competitor diretto nella corsa alla successione).

La seconda: Franceschini non avrebbe ben compreso che forse la "fase due" dell’inquilino di Montecitorio ha come obiettivo di prospettiva l’archiviazione del bipolarismo. E se l’ex segretario del Pd si complimenta con quello di An, nei ranghi pidiellini non mancano stoccate al vetriolo per commentare il summit dei finiani: dai "dieci piccoli indiani" dal romanzo di Agatha Christie, alla versione mutuata dal film di Troisi: "Pensavo fosse una corrente, invece è un seminario". Anche questo dà il senso di cosa si muove nel Pdl, dopo lo strappo di Fini. La Lega ringrazia e con Calderoli avverte: non possono esserci due Pdl, altrimenti meglio tornare al voto perché "irresponsabile non è chi parla di elezioni, ma chi rischia di provocarle". Nuovo messaggio per il neo-capocorrente.